domenica 26 dicembre 2010

IL TRASPORTO PUBBLICO EXTRAURBANO AFFIDATO A EXTRA.TO

Oltre 31 milioni di euro all’anno per effettuare circa 21 milioni di chilometri: è questo l’ordine di cifre di cui si parla in materia di trasporto pubblico extraurbano su gomma in provincia di Torino. La concessione del servizio è stata firmata oggi, a Palazzo Cisterna, a conclusione di una gara d’appalto espletata in estate, che ha visto presentarsi un unico concorrente: Extra.to. In realtà Extra.to è un consorzio che vede raggruppate in associazione temporanea d’impresa le aziende che già effettuavano il servizio per la Provincia di Torino: G.T.T., Sadem, Cavourese Autostradale, Martoglio, Bellando Tours, Autoservizi Novarese, Autoservizi M. Canuto, Autoindustriale Vigo, Autoservizi Viaggi F.lli Munaro – Vi.Mu., Seren, V.I.T.A., Sapav, Seag, A.T.A.P., Autolinee Torinese Astigiane Vigo – A.T.A.V, Chiesa, S.T.A.A.V. – Caluso viaggi, Marletti autolinee, Bouchard Enzo & c., Autoservizi Menini, Viaggi Furno.

“Ma la novità di aver costituito un unico consorzio per la Provincia è importante” spiega l’assessore ai trasporti Piergiorgio Bertone “non solo perché ci porta a una notevole semplificazione amministrativa, ma soprattutto in termini di qualità e razionalizzazione del servizio: in questo modo infatti tutti i membri del consorzio potranno concorrere con tutto il personale e i mezzi a disposizione a garantire continuità delle prestazioni, superando i problemi legati alla piccola dimensione delle imprese e l’eccessiva frammentazione che ostacolano il raggiungimento di soddisfacenti livelli di sinergia e di efficienza economica”.

La gara d’appalto riguarda non solo il trasporto pubblico extraurbano su gomma della Provincia di Torino, delle Comunità montane Valli Lanzo, Ceronda e Casternone, Valle Susa e Valle Sangone, Valli Chisone e Germanasca, Pellice e Pinerolese Pedemontano, Val Chiusella Valle Sacra e Dora Baltea Canavesana, Alto Canavese, ma anche i servizi di trasporto pubblico dei Comuni di Pinerolo, Ivrea, Bardonecchia, Carmagnola e Giaveno, per i quali la Provincia di Torino si è fatta stazione appataltante, per una cifra di circa 3milioni e trecentomila euro per effettuare quasi 2 milioni di chilometri. Il servizio di trasporto pubblico extraurbano in questa nuova veste prenderà il via il primo gennaio e scadrà alla fine del 2016 ed è previsto che sia effettuato in misura prevalente con mezzi Euro 3 ed Euro 4, attrezzati per disabili, dotati di sistema di condizionamento dell’aria e dotati di impianto audiovisivo interno ed esterno al mezzo per l’avviso di prossimità di fermata.

Tutto il parco autobus circolante dovrà inoltre essere dotato di apparecchiature per la rilevazione satellitare: “La Provincia” spiega ancora l’assessore Bertone “monitora il servizio e la regolarità delle corse sia con proprio personale ‘viaggiante’ sia controllando a video, proprio grazie alla rilevazione satellitare”. Fra le novità previste dal contratto rientra anche Provibus, il servizio pubblico di trasporto a chiamata previsto in aree a domanda debole o in orari a domanda rarefatta o per utenza particolare.

“In più è stato previsto un particolare sistema di incentivazione della qualita” conclude Bertone “una quota pari al 6% dell’importo complessivo annuo calcolato a consuntivo sarà corrisposto in proporzione al grado di raggiungimento degli obiettivi di qualità, come la manutenzione dei mezzi, la classe di omologazione, la pulizia, la regolarità e puntualità del servizio, la qualità del lavoro (saldo occupazionale, variazione della componente salariale, condizioni di lavoro e clima aziendale), l’incremento della domanda e il miglioramento della qualità del servizio.

mercoledì 22 dicembre 2010

CHE FARE DOPO LA TERZA MEDIA? LA RISPOSTA IN UNA GUIDA DELLA PROVINCIA DI TORINO

Per studenti e genitori che devono scegliere l’indirizzo scolastico più idoneo dopo la scuola inferiore la Provincia di Torino mette a disposizione una “Guida per informarsi e orientarsi dopo la terza media 2011”. La guida illustra le opportunità di istruzione e formazione professionale in Torino e provincia; contiene le informazioni sui cambiamenti introdotti dopo il riordino degli indirizzi della scuola secondaria di secondo grado; presenta l’offerta formativa dei sistemi d’istruzione tecnica, professionale, liceale e dell’istruzione e formazione professionale nel territorio. La prima parte indica e descrive i percorsi (istituti tecnici, istituti professionali, istruzione e formazione professionale e licei): le caratteristiche principali, le novità introdotte, i profili di ogni indirizzo e i piani orari annuali ministeriali. La seconda parte raccoglie tutta l’offerta di istruzione e formazione professionale: pagine messe a disposizione di istituti e agenzie formative che presentano la loro attività. Nella guida si trovano anche informazioni rivolte agli allievi stranieri, agli alunni disabili, a chi è interessato alle scuole militari; precisazioni sugli interventi per il diritto allo studio. Le ultime pagine sono dedicate a una raccolta di parole da ricordare (parole chiare), all’indice (A-z) delle scuole statali e delle Agenzie formative, all’indirizzario A-z degli Istituti paritari. “La Provincia – spiega l’assessore all’Istruzione Umberto D’Ottavio - ha predisposto la guida in una nuova e particolare versione per dare ai ragazzi e alle famiglie l’opportunità di conoscere tutte le informazioni essenziali relative ai cambiamenti previsti nei regolamenti di riordino dell’istruzione. Leggerla può essere utile a chi ancora deve valutare alcuni elementi, così come a chi ha già un’idea da confermare e focalizzare. La guida può essere letta con i propri docenti e i docenti orientatori delle scuole e delle agenzie; in ogni caso, gli esperti di ORIENTARSI sono disponibili a fornire spiegazioni e sostegno.” La guida per informarsi e orientarsi dopo la terza media 2011. si può consultare: www.provincia.torino.it/fidati/orientarsi/?pubblica=guida Per informazioni, materiali e una consulenza orientativa si può visitare il sito www.orientarsi.it oppure www.provincia.torino.it/orientarsi.

mercoledì 15 dicembre 2010

D'Alema, da cretini fare dietrofront

La critica sul governo di responsabilità istituzionale e sul dialogo con Fini e Casini è "roba da mentecatti. Nessuno nel Pd è così stupido da poter sollevare questa obiezione. Cosa dovevamo fare? Votare la fiducia a Berlusconi per non fare sponda con Fli e Udc?". Questo il commento di Massimo D'Alema in seguito alla conferma della fiducia al governo da parte del Parlamento. In un colloquio con Repubblica l'esponente del Pd sottolinea che "con questi numeri Berlusconi non può governare" e indica nelle elezioni anticipate "lo sbocco più logico". Tuttavia "la prospettiva di un'alleanza con Fini e Casini" per un esecutivo di transizione "resta in piedi, il voto a Montecitorio non la esclude". Il Pd, sostiene il presidente del Copasir, "non è in un angolo. E non è vero che ora dovremo lavorare in una cornice di alleanze che va da Vendola a Di Pietro e basta. Le altre porte restano aperte per noi". Il presidente della Camera, dice D'Alema, "ha fatto una battaglia vera contro Berlusconi. Gli va dato atto. Certo, non ha né i soldi né il potere del Cavaliere". Per l'ex premier il Parlamento ha raggiunto un "degrado mai visto nella storia della Repubblica", con "deputati comprati, nascosti dietro le tende fino all'ultimo per proteggere la vergogna di un voltafaccia". L'Idv, che ha visto due deputati votare la fiducia, "é un partito del cavolo. Loro la vera opposizione. Figuriamoci. E qualcuno gli dà pure corda".

domenica 5 dicembre 2010

Nascerà a Torino il Laboratorio della curiosità

"XKé, il Laboratorio della curiosità", un progetto didattico rivolto ai bambini delle scuole elementari ed ai ragazzi delle medie. Decollerà nell’autunno del prossimo anno e avrà sede nei locali che ospitano alcuni uffici della Provincia, in via Gaudenzio Ferrari 1, all’ombra della Mole Antonelliana.

L’iniziativa è stata presentata venerdi 3 dicembre a Palazzo Cisterna dal presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta, dall’assessore provinciale all’Istruzione Umberto D’Ottavio, dalla presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo Anna Maria Poggi, dagli assessori del Comune di Torino Mario Viano e Giuseppe Borgogno. Era presente il coordinatore scientifico del progetto Piero Bianucci.
Il Laboratorio della Curiosità, come hanno spiegato il presidente Saitta e l’assessore D’Ottavio, è frutto della collaborazione tra la Fondazione per la Scuola, la Provincia e il Comune di Torino, ed è la concretizzazione dell’impegno per la crescita e la diffusione della cultura scientifica.
Importante anche la scelta della sede, unica e accessibile, da venticinque anni il punto di riferimento per il mondo della scuola, grazie alle attività gestite dal Ce.Se.Di, il Centro Servizi Didattici della Provincia.

Le attività del laboratorio avranno una ricaduta diretta sulla didattica e contribuiranno a rendere efficace l’insegnamento delle scienze.
Nello stesso complesso trovano posto le aule e i laboratori dell’Istituto Tecnico Avogadro, con una grande tradizione alle spalle, recentemente riconosciuto tra i più prestigiosi d’Italia.

Il Laboratorio delle curiosità sarà dunque il centro di iniziative didattiche a livello scientifico per ragazzi di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, con esperienze che partiranno dal coinvolgimento dei cinque sensi e diverse sezioni dedicate alle misure, alla matematica, all’informatica. Non verranno dimenticate le radici della cultura scientifica del nostro territorio. L'idea, in pratica, è quella di suscitare nei bambini stupore e curiosità per i fenomeni scientifici attraverso il gioco e la scoperta, in maniera creativa.
L’obiettivo è quindi di realizzare a Torino il primo science center europeo diffuso sul territorio, che promuova il coordinamento delle strutture per la diffusione della scienza già esistenti in città: il Museo Regionale di Scienze Naturali, il Planetario Infini.To, A come Ambiente, Museo dell’Uomo, l’Orto botanico, il Museo del Cinema, Thales-Alenia.
Un percorso per favorire l’innovazione della didattica delle scienze attraverso la formazione dei docenti.

In via Gaudenzio Ferrari l’allestimento si svilupperà su uno spazio di 1500 metri quadrati con alcune stanze per esperimenti dedicati alla percezione sensoriale, una sezione per gli esperimenti sulle unità di misura fondamentali, una sezione dedicata ai maggiori scienziati piemontesi, da Lagrange a Sobrero, da Galileo Ferraris ad Avogadro fino a Levi Montalcini.

giovedì 2 dicembre 2010

PROGETTO "RI-SCARPA" PER IL RICICLO DELLE SCARPE USATE

"RI-SCARPA” PER IL RICICLO DELLE SCARPE USATE
Le scarpe usate non si butteranno più tra i rifiuti indifferenziati per finire in discarica. Grazie al progetto “Ri-scarpa” sarà possibile raccogliere le vecchie calzature in appositi contenitori, riutilizzarle o impiegare il materiale di cui sono composte per vari usi quali pavimentazioni insonorizzate di palestre o sale riunioni, piste di atletica, giocattoli. La novità è che alla raccolta provvederanno i ragazzi e le scuole, che ospiteranno i contenitori: hanno aderito numerosi istituti superiori, elementari e medie. Il progetto - ideato dalla Cooperativa Sociale “Lavoro e Solidarietà”- si avvale della collaborazione di Provincia di Torino, Comune di Torino, Ufficio Scolastico Regionale, Amiat e del sostegno della Compagnia di San Paolo. L’iniziativa è stata presentata oggi presso l’Ipia Plana – una delle scuole che ospita i contenitori - alla presenza del presidente della cooperativa sociale “Lavoro e solidarietà”, Bruno Ardito, dell’assessore all’Istruzione della Provincia di Torino, Umberto D’Ottavio, del responsabile Comunicazione di Amiat, Roberto Bergandi e del dirigente scolastico dell’Ipia Plana Franco Francavilla. Dopo i ringraziamenti del dirigente scolastico Francavilla ha preso la parola l’assessore D’Ottavio: “Com'è noto il problema dei rifiuti è grave – ha esordito rivolgendosi agli studenti del Plana presenti all’incontro -. Dobbiamo imparare sempre più a ridurre e a differenziare. La Provincia ha volentieri aderito alla proposta della Cooperativa “Lavoro e solidarietà” per contribuire a diminuire, anche se in misura minore, il volume della spazzatura in discarica educando voi ragazzi alla raccolta differenziata e alla tutela dell’ambiente. Per il momento l’iniziativa è limitata a Torino, ma pensiamo di estenderla perché abbiamo ricevute molte richieste”. “Le finalità di ‘Ri-scarpa’ - ha spiegato il presidente della cooperativa Ardito - sono educative- ambientali. Ma sono anche occupazionali-sociali perché il progetto prevede l’impiego di personale per il trasporto, la raccolta , la selezione e l’igienizzazione del materiale; personale che può essere scelto anche tra cittadini svantaggiati e socialmente deboli. In sostanza con “Ri-scarpa” si forma la coscienza ambientale delle giovani generazioni e si crea occupazione. “ Il responsabile della Comunicazione Roberto Bergandi ha sottolineato che l’adesione dell’Amiat al progetto rientra nell’attività educativa che l’azienda sta portando avanti nelle scuole per la riduzione dei rifiuti alla fonte; ha poi invitato gli studenti a sensibilizzare le famiglie e deporre le scarpe nel contenitore.

venerdì 19 novembre 2010

SI AVVIA LA CONSULTAZIONE SUL PIANO DELL’OFFERTA FORMATIVA E LA RETE SCOLASTICA PER L'ANNO 2011/12

La prossima settimana prendono il via le conferenze territoriali sull’istruzione per la definizione del piano dell’offerta formativa e dell’organizzazione della rete scolastica per l’anno 2011/2012. Le conferenze si terranno negli 8 ambiti funzionali previsti dalla suddivisione del territorio che risale al 2008; ambiti nei quali la Provincia di Torino con i Comuni (280 su 315 sono sedi di scuole) e le Istituzioni Scolastiche (325 sono le autonomie di 90 di scuole secondarie superiori) concorre alla definizione del Piano . Nelle Conferenze troveranno risposta le proposte avanzate dai Comuni che hanno competenza sulle scuole primarie e secondarie di primo grado e verranno presentate le proposte della Provincia sulla secondaria di secondo grado. Gli indirizzi sono stati stabiliti dalla Regione Piemonte con una delibera che ha riaffermato che le Istituzioni Scolastiche devono avere almeno 500 alunni. “La Provincia di Torino – rileva l’assessore provinciale all’Istruzione Umberto D’Ottavio - ritiene che questa regola debba essere assunta non in modo burocratico, ma tenendo conto delle esigenze formative presenti nel territorio, quindi nessun taglio senza progetto. Inoltre va ricordato che la media degli iscritti alle autonomie della Provincia di Torino è di 735 alunni quindi nessun accorpamento o riduzione che non sia condivisa. Certo non possiamo non prendere atto che oggi mancano circa 150 dirigenti scolastici in Piemonte, ma questo non può essere l’unico criterio. Anzi si è dimostrato già un vincolo pesantissimo quello della riduzione degli insegnanti e del personale ATA a tal punto che il compito di programmazione è in pratica impossibile. È difficile proporre qualcosa con i limiti imposti dalle scelte del Governo e dalla riduzione da parte dello Stato del suo impegno verso la scuola.” “Un altro anno di tagli è previsto con un’ulteriore riduzione di circa 2000 fra insegnanti e personale ATA – prosegue D’Ottavio -. Un colpo insopportabile per la scuola piemontese. Che porterebbe il fenomeno delle classi numerose a un livello tale da ridurre drasticamente la qualità della didattica oltre a tutti gli altri effetti ben noti. La Provincia di Torino auspica un ripensamento del ministro Gelmini sui tagli. Gli effetti si sono già visti”. Le Conferenze saranno anche l’occasione per sentire e raccogliere le opinioni e le esperienze del territorio che saranno raccolte in un dossier da inviare al Ministro. Nel frattempo la Provincia insieme alle Istituzioni scolastiche e ai Comuni sta programmando le iniziative di orientamento per i ragazzi di terza media che dovranno scegliere la scuola superiore. I primi saloni sono previsti per fine novembre. Il Calendario delle Conferenze Territoriali - Martedì 23 novembre dalle 14 alle 16 a Pinerolo presso il Liceo Curie via dei Rochis 12 per l’Ambito del Pinerolese - Martedì 23 novembre dalle 17 alle 19 a Nichelino presso l’Istituto Maxwell di viale XXV aprile 141 per l’Ambito Moncalieri, Nichelino, Carmagnola - Mercoledì 24 novembre dalle 10 alle 12 a Ciriè presso l’Istituto D’Oria in via Prever 13 per l’Ambito Ciriè, Valle di Lanzo - Mercoledì 24 novembre dalle 14,30 alle 16,30 a Grugliasco presso l’Istituto Majorana in via Baracca 80 per l’Ambito TO Ovest - Giovedì 25 novembre dalle 10 alle 12 a Torino presso l’Auditorium della Provincia in corso Inghilterra 7 per la città di Torino - Giovedì 25 novembre dalle 15 alle 17 a Settimo Torinese presso l’Istituto VIII marzo per l’Ambito Chivasso/ Settimo - Lunedì 29 novembre dalle 10 alle 12 a Ivrea presso il Liceo Botta in corso Gallo 37 per l’Ambito dell’Eporediese e Canavese - Lunedì 29 novembre dalle 15 alle 17 a Bussoleno presso il Liceo N. Rosa in piazza Cavalieri Vittorio Veneto 5 per la Valle di Susa

domenica 14 novembre 2010

Avvio della fase del "dimensionamento" scolastico

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Potrebbe essere la soluzione attesa da anni quella individuata dall’assessore all’Istruzione della Provincia Umberto D’Ottavio per il Polo scolastico internazionale europeo Spinelli, istituto che comprende scuola primaria, media e liceo e lamenta carenza di spazi. Dalla nascita accolto nel complesso di via Figlie dei Militari, dove si trovavano già l’Itc Arduino e il professionale Gobetti Marchesini (da quest’anno unito all’Itis Casale), lo Spinelli si è sempre battuto per ottenere una sede adeguata e poter così rispondere meglio alle richieste di iscrizioni, ogni anno superiori al numero di alunni che le aule possono contenere.
E ora eccola, la soluzione. «Siamo nella fase di studio del “dimensionamento”, la razionalizzazione delle autonomie scolastiche necessaria per aderire ai parametri indicati dalla Regione. A 300 metri dalla sede dello Spinelli - spiega D’Ottavio -, c’è il liceo scientifico Segrè, da tempo sottodimensionato, con 400 allievi lontano dal numero minimo di 500 iscritti. Unendoli avremmo due vantaggi: risolvere il problema di capienza dell’uno e rilanciare l’altro». È un dato di fatto che lo scientifico di corso Alberto Picco - tradizionalmente il liceo della precollina - negli anni abbia perso appeal. Molte famiglie gli hanno preferito il Gobetti di via Maria Vittoria. Al contrario, lo Spinelli, votato alla formazione linguistica, è molto ambito dalle famiglie - e non solo quelle di zona - che desiderano una «formazione europea» per i figli. Se andrà in porto questa soluzione, la Provincia risolverà praticamente a costo zero un annoso problema per il quale era stato anche previsto un nuovo edificio al Ponte Mosca, poi cancellato dalla crisi economica.
«Ma lo Spinelli è solo una delle tre operazioni che potrebbero ragionevolmente essere fatte. Un’altra - dice l’assessore - coinvolge il piccolo istituto Alberti di Luserna San Giovanni che, se unito al Porro di Pinerolo, potrebbe rilanciare l’offerta formativa in Val Pellice». Il terzo progetto riguarda l’Itis Ferrari di via Gaidano, a Torino, anch’esso in crisi di iscritti. «Si trova a 200 metri dal liceo Majorana e un’ipotesi potrebbe essere quella dell’accorpamento con questo istituto. Ma non è l’unica».
Per affrontare questi ed altri nodi dell’offerta formativa - tra gli altri, la richiesta di una sezione di liceo classico da parte del Moro di Rivarolo, quella di un corso per ottici, che oggi non esiste in provincia di Torino, avanzata dal professionale Plana - D’Ottavio ha organizzato otto conferenze di servizio per dirigenti scolastici ed amministratori del territorio. Il primo incontro - a tutti parteciperà il vice direttore scolastico regionale e direttore provinciale Paolo Iennaco, a poche settimane dal ritiro - si terrà martedì 23 a Pinerolo. Giovedì 25 è fissato quello di Torino città presso l’Auditorium della Provincia. «In queste Conferenze troveranno risposta le proposte avanzate dai Comuni che hanno competenza sulle scuole primarie e secondarie di primo grado e verranno presentate le proposte della Provincia sulla secondaria di secondo grado». Ma non solo. La Provincia è dell’avviso che non sempre la regola dei 500 alunni debba essere «presa alla lettera senza un progetto. La media degli iscritti alle scuole in provincia - dice D‘Ottavio - è di 735 alunni: non si farà nessun accorpamento o riduzione che non sia condivisa. Oggi mancano circa 150 dirigenti scolastici in Piemonte, ma questo non può essere l’unico criterio anche se la riduzione di insegnanti e personale Ata rende la programmazione quasi impossibile. Per questo chiederemo lo slittamento del termine per le iscrizioni a fine febbraio».
D’Ottavio ricorda che «un altro anno di tagli è previsto con un‘ulteriore riduzione di circa 2000 fra insegnanti e personale Ata, un duro colpo che farebbe aumentare le classi numerose riducendo drasticamente la qualità della didattica. Dopo le conferenze invieremo un dossier al ministro». Nel frattempo la Provincia sta programmando l’orientamento per i ragazzi di terza media che devono scegliere la scuola superiore. I primi saloni a fine novembre. Ma ancora mancano risposte dal Miur, come quella sull’istituzione del liceo musicale (è in corso una raccolta di firme).
FIRMA]MARIA TERESA MARTINENGO La Stampa 14 novembre 2010

giovedì 11 novembre 2010

La scuola della disuguaglianza

di Marina Boscaino

Mentre tutti i 26 Paesi dell’Unione Europea si attrezzano per sostenere l’avanzamento dell’obbligo scolastico, per fare in modo che i ragazzi stiano il più a lungo possibile a scuola (il nostro – il 27° – è l’unico ad avere l’obbligo sotto i 15 anni); mentre – mancato il programma di Lisbona 2010 – i Paesi europei si sono ridati per il 2020 l’obiettivo di aumentare il numero dei giovani tra i 20 e i 24 anni con un diploma di scuola superiore; mentre fior di ricerche dimostrano i costi sociali della dispersione, nonché i vantaggi economici a lungo termine di un aumento della scolarizzazione; mentre accadono queste ed altre cose, nella nostra sgangherata Italia, nell’Italietta che vive alla giornata, o meglio al minuto, si segna una delle pagine più nere delle politiche dell’istruzione da sempre fino ad oggi e si compie un enorme passo avanti verso la demolizione del progetto di innalzare l’obbligo scolastico a 16 anni.
La Camera ha infatti approvato il ddl Lavoro, che introduce – in sostituzione dell’ultimo anno di biennio – la possibilità di svolgere formazione in azienda. Qui da noi, cioè, un anno di apprendistato ha lo stesso valore di anno di scuola (professionale, tecnico, scientifico, in un’allucinante controtendenza rispetto al mondo civile. Ecco un esempio davvero eloquente del significato che coloro che ci governano attribuiscono alla scuola. Del resto, non ci stupisce, considerando il trattamento riservato al nostro sistema di istruzione negli ultimi due anni. Ma si tratta di un esempio ancor più significativo del modo in cui concepiscono i diritti fondamentali. E non solo quello all’istruzione, ma soprattutto quello che vorrebbe analoghi trattamenti per tutti i cittadini del nostro Paese. Si accettano scommesse: chi pensate sarà coinvolto da questo lungimirante ripristino delle caste? I figli dei professionisti, o anche dei commercianti? Coloro che possono contare su condizioni socioeconomiche favorevoli? Quelli che – per abitudine culturale o per moda sociale – dispongono di libri in casa, come si trattasse di un bene primario? O coloro che galleggiano in precarie condizioni sociali, economiche e culturali? Faranno ricorso a questo sconvolgente passo indietro sul piano della democrazia, dell’inclusione, delle pari opportunità e del diritto di vivere la prima parte dell’adolescenza lontano dal lavoro i nati bene o i nuovi italiani, i figli di un dio minore per razza, colore, religione, latitudine?
Continuiamo a spendere parole belle, parole alte; continuiamo ad esprimere concetti per un altro mondo. Forse ci parliamo addosso, senza rendercene conto. Perché in questo mondo, quello in cui viviamo, scuola inclusiva, emancipante, educazione, conoscenza, socializzazione, relazione educativa, uguaglianza, cittadinanza, sono formule vuote, che non emozionano più quasi nessuno. Che non producono reddito immediato, e perciò non interessano. La disuguaglianza sociale non rappresenta più un disvalore per nessuno. Tranquillamente, in barba a don Milani, facciamo parti diverse tra diversi.

mercoledì 10 novembre 2010

APPROVATO IN GIUNTA IL BILANCIO DI PREVISIONE 2011: MINORI ENTRATE, MA AUMENTANO I FONDI PER LE SCUOLE

Pareggia su 520 milioni di euro il Bilancio di previsione per il 2011 approvato questa mattina dalla Giunta di Palazzo Cisterna su proposta dell’Assessore al Bilancio, Marco D’Acri, che lo trasmette ora al Consiglio Provinciale per avviarne l’esame.

Dalle cifre si evidenzia un netto calo delle entrate tributarie della Provincia, oltre 10 milioni in meno rispetto al 2008, segno della grave crisi economica e della congiuntura negativa del mercato dell’auto: “le nostre entrate infatti – commenta l’Assessore D’Acri - dipendono dall’addizionale dell’energia elettrica pagata dalle aziende e dall’imposta di trascrizione delle automobili. Una situazione alla quale abbiamo fatto fronte con il dimezzamento delle spese discrezionali degli assessorati, che il prossimo anno scenderanno da 10 a 5 milioni di euro”.

“Voglio sottolineare come nonostante la situazione difficile – aggiunge il Presidente Saitta – la Provincia di Torino conferma per il prossimo anno gli impegni straordinari sull’edilizia scolastica per la quale investiremo oltre 24 milioni di euro, addirittura un aumento rispetto all’anno in corso”.

venerdì 5 novembre 2010

"O arrivano i fondi o chiudo le scuole”

Da gennaio una serie di scuole medie superiori, a Torino e nel Torinese, potrebbero essere chiuse: porte sprangate, studenti a casa. Non lo dice un preside, e nemmeno un sindacato, ma Antonio Saitta, presidente di un ente che nella manutenzione degli istituti scolastici ha una delle sue ragioni fondanti.
L’estremo appello al governo è stato lanciato a Roma, in chiusura della Conferenza Unificata segnata dallo slittamento del parere sulla legge del Patto di stabilità. Da qui la delusione e l’affondo di Saitta. Il senso è quello di un’azione di pressing, sempre più esasperato, che per la prima volta si traduce in un avvertimento concreto. E in una data. Il Patto di stabilità, bestia nera di tutti gli amministratori locali, non permette alle Province di pagare le imprese: questo è il punto. «Non potendo pagare le imprese, non possiamo appaltare i lavori disposti dai vigili del fuoco - ha spiegato Saitta -. Senza i lavori, molte scuole non potranno tenere aperti i battenti».
Il discorso rimanda ad opera di manutenzione ordinaria e straordinaria che attendono da tempo. Oltretutto, interviene l’assessore provinciale all’Istruzione Umberto D’Ottavio, le piogge insistenti degli ultimi giorni ci hanno messo del loro, allagando una serie di palestre e portando al collasso situazioni già precarie. La Provincia, che sente sul collo il fiato dei vigili del fuoco e delle Asl, prima o poi sarà costretta a regolarsi di conseguenza.
Il problema è che il «prima» sta guadagnando rapidamente terreno sul «poi». L’emergenza, sia chiaro, non è una prerogativa di Torino e del Torinese. «Tutte le Province hanno la responsabilità sulle scuole medie superiori, che in Italia sono 5 mila, ma non possono fare investimenti, nemmeno per la manutenzione», ha ricordato Saitta. Posizione condivisa da Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma: «I Comuni e le Province hanno 10 miliardi in cassa ma non possono spenderli».

La Stampa 5 novembre 2010

lunedì 25 ottobre 2010

“L’edilizia muore, aprite i cantieri

La crisi ha lasciato sul campo, a Torino, tre mila posti di lavoro nell’edilizia e ogni giorno arrivano al sindacato nuove richieste di cassa integrazione.
La Fillea-Cgil ha censito nei primi sei mesi dell’anno 231.264 ore negli edili con 114 aziende coinvolte, 15.904 ore nei lapidei e 9 aziende, 62.920 ore nei laterizi e 9 aziende, 271.920 ore nel legno e 37 aziende, 64.160 ore nel cemento e 8 aziende. Per un totale di 3.010 lavoratori coinvolti in 646.168 ore di stop forzato.
Inoltre - come spiega il segretario della Fillea, Dario Boni - cresce il part-time che ora coinvolge 1.152 persone, che sono circa il 7-8% degli addetti, mentre era solo il 5 per cento nel 2008.
In una situazione così difficile - con i dipendenti di aziende piccole senza ammortizzatori sociali, gli altri coperti per sole 13 settimane, la mobilità non retribuita, e con l’indennità straordinaria o in deroga solo per imprese sopra i 15 dipendenti - ci sarebbe una enorme possibilità di lavoro pari a oltre 22 milioni di euro.
Si tratta dei fondi che il Cipe, con delibera pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 14 settembre dopo quattro mesi dall’approvazione, ha stanziato per interventi nelle scuole. Si tratta di 50 appetibili cantieri di edilizia scolastica in provincia di cui 33 a Torino; gli interventi oscillano da 50 mila euro a 850 mila, con picchi anche molto elevati come i 2 milioni a Perosa Argentina, i 3 milioni per il liceo Darwin di Rivoli e i 2 milioni per il Convitto Umberto I.
Boni è polemico: «Quella sarebbe una formidabile boccata di ossigeno perché si tratta nell’insieme del valore di una buona opera infrastrutturale. Inoltre i cantieri sono di importi tali da consentire l’utilizzo non soltanto di grandi aziende, ma anche di quelle piccole e medie. Ma quando, quei cantieri verranno aperti?».
Boni aggiunge: «Il rischio è che i fondi si perdano, ed è una cosa inconcepibile. Chiediamo alla Provincia di occuparsene e al più presto, perché per questo settore, l’unico vero ammortizzatore sociale è il lavoro, altro non c’è».
L’assessore provinciale, Umberto D’Ottavio, replica: «I fondi non si perderanno perché ormai sono stanziati per ogni singola opera. Però la Cgil ha ragione: è stato introdotto un farraginoso meccanismo in base al quale si deve fare per ogni singola opera una convenzione con il Provveditorato alle Opere pubbliche. Non ci aspettavamo una procedura burocratica di questo tipo».
Spiega: «Noi per le dieci opere che ci competono e che riguardano le scuole superiori stiamo procedendo. Ma non ho dubbi che si dovrà attendere ancora fino alla fine dell’anno per le convenzioni. Poi si dovranno fare le gare che, se superiori ai 500 mila euro, devono essere internazionali. Finalmente arriveremo al cantiere, ma non c’è da farsi illusioni: non sarà prima della metà del 2011».
E poi rimangono le altre quaranta opere, che spettano ai singoli Comuni riguardando scuole non superiori.
Boni non ha dubbi: «Bisogna intervenire sul patto di stabilità studiando formule che vadano aldilà della finanza a progetto. Gli imprenditori torinesi devono raccogliere una sfida che la crisi consegna loro: non solo riduzione del personale, non solo spostarsi fuori provincia per concorrere ad appalti che esasperano il massimo ribasso, ma accettare il fatto che la sfida è nell’industrializzazione dell’edilizia».

[FIRMA]MARINA CASSI LASTAMPA 23/10/2010

martedì 19 ottobre 2010

In coda al liceo che non c’è

In coda al liceo che non c’è


Il ministro Gelmini lo cita in continuazione come il fiore all’occhiello della riforma. E in effetti il liceo musicale ha creato molta attesa anche nella nostra provincia. A Torino - senza nessuna certezza che potesse essere davvero avviato - 38 fiduciose famiglie lo scorso anno lo avevano scelto come percorso di studi per i loro figli. Ma la novità qui non s’è vista. Le sezioni dovevano essere 40 in tutta Italia, in realtà ne sono partite 32. E Torino - che vanta una tradizione musicale riconosciuta nel mondo - è rimasta a bocca asciutta. In Piemonte, il liceo è stato assegnato a Cuneo e a Novara.
Ora sta per ripartire la campagna per l’orientamento dei ragazzi che frequentano la terza media. E si torna alla carica. «Ci stiamo preparando a chiedere nuovamente un liceo nel territorio torinese - spiega l’assessore all’Istruzione della Provincia Umberto D’Ottavio - e speriamo che sia la volta buona, che la dimenticanza dello scorso anno sia stata un incidente. Non abbiamo mai capito perché il liceo musicale sia stato dato ad altre province e non a Torino dove, rispetto al quadro orario, le competenze c’erano. Con una popolazione di 90 mila iscritti alle superiori è stata un’ingiustizia, per le famiglie una grande delusione. Ora diamo per scontato che Direzione Scolastica Regionale e Regione sostengano la nostra istanza».
In questi giorni la Provincia sta concludendo la raccolta delle richieste di attivazione di nuovi corsi in vista del nuovo piano dell’offerta formativa. E, come lo scorso anno, sono numerosi gli istituti che stanno avanzando nuove candidature, in città e fuori. «La nostra istruttoria - dice D’Ottavio - sta procedendo. Nel 2009 avevamo ricevuto sei richieste formali e dieci informali. Una scuola particolarmente motivata è il liceo Berti che, come parte degli altri istituti che si sono candidati, aveva già una sperimentazione musicale». Nel 2009 richieste ufficiali erano arrivate dall’Europa Unita di Chivasso, dal Porporato di Pinerolo, dal Volta, dal Regina Margherita. Il Curie di Grugliasco aspirava al liceo coreutico, altra novità disattesa. Dell’ultima ora, questa volta, è la richiesta del liceo europeo Spinelli.
L’istituto sul quale lo scorso anno la Provincia aveva puntato per l’assegnazione della sezione - e che anche quest’anno si ripropone in pole position - è il liceo artistico Passoni di via della Rocca. È qui che 38 ragazzi speravano di studiare ed è qui che in parte sono rimasti, ri-orientati sul Progetto Mozart, una sezione dove sono attivati alcuni insegnamenti musicali. «Il Passoni ha preparato una convenzione con il Conservatorio - spiega l’assessore - che rende l’organizzazione più facile rispetto ad altre situazioni». La preside del Passoni, Paola Ravetti: «In prospettiva, il rapporto tra liceo musicale e Conservatorio dovrebbe diventare come quello tra liceo artistico ed Accademia, liceo- “alta formazione”. Il regolamento del liceo musicale, poi, prevede in prima istanza una convenzione obbligatoria con i conservatori. Tutto deve essere regolato con questo atto: i reciproci rapporti, la strumentazione, i criteri di scelta dei docenti». E anche l’inevitabile prova d’accesso. «Il musicale non potrà mai essere - ricorda D’Ottavio - un liceo di massa».
I documenti ministeriali indicano il liceo musicale come tassello mancante nella formazione di qualità tra scuole medie a orientamento musicale e alta formazione dei Conservatori. «Le nostre famiglie hanno molte aspettative nei riguardi del nuovo liceo», sottolinea Lorenza Patriarca, dirigente dell’Istituto comprensivo Tommaseo-Calvino che conta una delle 25 sezioni torinesi di media musicale e condivide con il liceo Passoni il progetto «Giardino delle Arti». «Questo liceo - prosegue - coprirebbe le necessità di molti ragazzi che finora studiavano al Conservatorio con grandi difficoltà per conseguire il diploma di scuola superiore».

maria teresa martinengo La Stampa 19/10/2010

martedì 5 ottobre 2010

A Torino serve una nuova struttura per ospitare 500 studenti del Liceo

Cinquecento liceali, perché è in particolare nei licei che la popolazione sta crescendo e dove ci sono sempre più spesso problemi di capienza». Umberto D’Ottavio, assessore all’Istruzione della Provincia, le necessità le ha evidenziate con circoletti rossi su una cartina di Torino: il liceo europeo Spinelli ancora in cerca di una sistemazione definitiva, lo scientifico Volta che chiede una succursale, condizione che si collega al fatto che Galileo Ferraris e Gobetti alle ultime iscrizioni hanno dovuto dire parecchi «no» alle famiglie e che il Cattaneo scoppia. Senza dimenticare la sopraelevazione del liceo classico D’Azeglio: è sfumata con il consolidarsi della crisi economica e i limiti di spesa.
Sulla stessa cartina è anche indicata l’ipotesi che dovrebbe alleggerire la situazione. Niente area di Ponte Mosca, però, di cui si è parlato a lungo per lo Spinelli (che sta ragionando con realismo su una collocazione separata della sua scuola media): la legge Gelmini vieta l’apertura di nuovi punti di erogazione del servizio scolastico, la crisi fa il resto. «L’idea è di utilizzare l’area tra le vie Pesaro, Rovigo e corso Ciriè», spiega D’Ottavio.
Lì un tempo c’erano gli istituti Baldracco, conciario, e il tessile Guarrella, poi assorbiti nel vicino Itis Casale, e lì si trova la succursale del Guarini. Nell’ex Baldracco tra breve partiranno i lavori per la succursale dell’alberghiero Beccari che aspetta una soluzione da anni». Quest’opera - aule, laboratori di cucina e di sala - «sarà l’intervento più importante del nuovo anno - dice D’Ottavio - insieme con la ristrutturazione di un edificio, a Collegno, per la succursale dello scientifico Curie ora accolta in una scuola media. Questa succursale alleggerirà la pressione sul Cattaneo che oggi ospita alcune classi in un prefabbricato».
Chi avrà sede, in futuro, nel polo scolastico semi-dismesso di Valdocco al momento non è stabilito. «Stiamo lavorando a soluzioni che non mettano un istituto contro l’altro. I ragionamenti li faremo completi in occasione del piano di dimensionamento delle scuole di Torino. Entro i primi di novembre organizzeremo una conferenza invitando tutti i presidi. La soluzione sarà oggetto di concertazione».
Di ipotesi ce ne sono alcune che includono lo spostamento di intere scuole da un quartiere all’altro. Niente di casuale o «discrezionale». «Stiamo analizzando la provenienza territoriale della popolazione scolastica di varie scuole», spiega l’assessore. A conti fatti certe ipotesi potrebbero essere meno dolorose di quanto oggi s’immagini. «Il ragionamento, comunque, deve andare nella direzione di ridistribuire gli spazi in base alle iscrizioni», dice D’Ottavio. La riforma, infatti, ha spostato i consensi sul liceo delle scienze applicate, il linguistico. Il restyling del vecchio Itc ha ridato smalto (e iscritti) al Sommeiller e ad altri. Il classico, invece, segna un po’ il passo.
E in tema di indirizzi, la Provincia ha invitato i capi d’istituto a produrre entro l’11 ottobre un documento di «autovalutazione dell’offerta» con le richieste di attivazione di eventuali nuovi corsi. «Anche l’offerta formativa si collega all’edilizia e all’obiettivo di avere le scuole in sicurezza. A proposito, spiace non essere riusciti finora a ragionare con la Regione della campagna di orientamento scolastico che sta partendo. Anche perché nessuno ha smentito che le iscrizioni debbano avvenire in gennaio. Da parte nostra siamo impegnati a fare in modo che l’assenza di programmazione regionale non ricada sui ragazzi di terza media».
Tra le richieste di attivazione di corsi in arrivo si prevede certamente quella del liceo musicale (grande novità della riforma negato lo scorso anno a Torino) da parte dell’artistico Passoni e dall’istituto Berti (nel 2009 lo reclamarono 8 istituti). L’Alberti di Luserna San Giovanni (che chiede anche scienze applicate) e il Baldessano-Roccati di Carmagnola hanno già annunciato di voler attivare il corso triennale per «operatore dei servizi sociali». «C’è molta offerta per personale adeguatamente formato come “badante” per case di riposo e assistenza in genere - dice D’Ottavio -, un ambito che diventa d’interesse anche per i ragazzi italiani». Su un altro fronte, il Moro di Rivarolo ha avanzato la richiesta del liceo classico «perché il Botta di Ivrea è pieno. Per anni non abbiamo concesso indirizzi nuovi in attesa della riforma, nel 2009 ci siamo limitati alle confluenze. Ora è il momento di valutare nei dettagli l’offerta sul territorio. Anche perché un’offerta diffusa è anche un incentivo contro la dispersione».

Maria Teresa Martinengo La Stampa 5/10/2010

venerdì 1 ottobre 2010

Giorgio Napolitano e Cavour

Nell'Assemblea Costituente del 1946-47, si discusse ampiamente sul come caratterizzare la figura del Presidente della Repubblica; se ne discusse prendendo in considerazione, con apertura e ricchezza di riferimenti e argomenti, diverse ipotesi e possibilità di scelta, non esclusa l'opzione presidenzialista.
La conclusione di quel dibattito fu nettamente favorevole a un Capo dello Stato eletto dal Parlamento e non direttamente dai cittadini, titolare di rilevanti prerogative e attribuzioni ma non di poteri di governo, chiamato a intrattenere col Paese un rapporto non condizionato da appartenenze politiche e logiche di parte.
La Costituzione pone in cima all’articolo che sancisce caratteri e compiti del Presidente della Repubblica, l’espressione-chiave: «rappresenta l’unità nazionale». Egli la rappresenta e la garantisce svolgendo un ruolo di equilibrio, esercitando con imparzialità le sue prerogative, senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti, e ricorrendo ai mezzi della moral suasion e del richiamo a valori ideali e culturali costitutivi dell’identità e della storia nazionale.
E chiudo qui questa digressione, della cui lunghezza e apparente estraneità al nostro incontro di oggi spero vorrete scusarmi. Ma se il rappresentare l’unità nazionale è la stella polare del ruolo che mi è stato affidato dal Parlamento, è lì anche - questo volevo sottolineare - la ragione prima del mio impegno per le celebrazioni del 150° anniversario dello Stato italiano. A maggior ragione in un periodo nel quale sul tema dell’unità nazionale pesano sia il persistere e l'acuirsi di problemi reali rimasti irrisolti, sia il circolare di giudizi sommari (in taluni casi, fino alla volgarità) sul processo che condusse alla nascita del nostro Stato unitario e anche sul lungo percorso successivo, vissuto dall’Italia da quel momento, da quel lontano 1861 a oggi. Siamo in presenza di tensioni politiche, di posizioni e manovre di parte, di debolezze e confusioni culturali, di umori ostili, che ruotano attorno alla questione dell'unità nazionale e che le istituzioni repubblicane debbono affrontare cogliendo un’occasione come quella del 150° anniversario del 17 marzo 1861.
Coglierla attraverso un'opera di ampia chiarificazione, riproponendo e arricchendo le acquisizioni della cultura storica, e collegandovi una riflessione matura sulle tappe essenziali della successiva nostra vicenda nazionale. Dovrebbe trattarsi - come ho avuto occasione di dire - di un autentico esame di coscienza collettivo, che unisca gli italiani nel celebrare il momento fondativo del loro Stato nazionale. Riuscirvi non sarà facile, l'inizio è risultato difficile, ma cominciamo a registrare una crescita di interesse e di impegno, una moltiplicazione di iniziative anche spontanee.
Non ho voluto tacervi il quadro delle preoccupazioni che mi muovono. Ma debbo aggiungere che esse non nascono da timori di effettiva rottura dell'unità nazionale. Polemiche e contese sui rapporti tra il Nord e il Sud, per quanto si esprimano talvolta in termini e in toni estremi, e rumorose grida di secessione, trovano il loro limite obiettivo nel fatto che prospettive separatiste o indipendentiste sono - e tali appaiono anche a ogni italiano riflessivo e ragionevole - storicamente insostenibili e obiettivamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggi.
Quel che preoccupa è dunque altro: è il possibile oscurarsi della consapevolezza diffusa di un patrimonio storico comune, il tendenziale scadimento culturale del dibattito e della comunicazione. Quel che preoccupa è il seminare motivi di sterile conflittualità e di complessivo disorientamento in un Paese che ha invece bisogno di confermare e rafforzare la fiducia in se stesso e di veder crescere tra gli italiani il sentimento dell'unità: nell'interesse dell'Italia e - lasciate che aggiunga - nell'interesse dell'Europa. \
Rispetto a tendenze che circolano in Italia, come quelle che ho evocato, e anche tenendo conto del loro sorprendente provincialismo, è particolarmente importante un contributo quale il vostro, di riflessione sul respiro europeo del movimento per l'unità italiana e dei suoi maggiori protagonisti, e sul quadro delle vicende europee in cui quel movimento si collocò. Come si può ignorare l'impronta ginevrina e parigina, e anche londinese, della formazione - diciamo pure tout court europea - di Cavour? O l'influenza della storia e del pensiero francese sul maturare del bagaglio culturale e del disegno politico di Giuseppe Mazzini, per non parlare del suo radicamento nell'Inghilterra di quel tempo? Il flusso dei grandi messaggi ideali provenienti dalla Francia dell'epoca rivoluzionaria e del periodo napoleonico fu retroterra essenziale del Risorgimento.
Cavour vide più lucidamente di chiunque il quadro internazionale - con i condizionamenti oggettivi che ne derivavano - in cui collocare la strategia del piccolo e ambizioso Regno di Sardegna e la questione italiana. Erano in giuoco in Europa - allora teatro privilegiato e decisivo della politica mondiale - gli equilibri usciti dalla prima e dalla seconda Restaurazione, i moti per le libertà costituzionali contro il dispotismo, gli equilibri sociali sotto il premere di nuovi conflitti, l'affermazione del principio di nazionalità e le lotte per l'indipendenza contro il dominio imperiale austriaco. Il sapersi muovere con audacia e duttilità, e con i necessari adattamenti, in questo contesto fu per Cavour fattore determinante di superiorità ai fini della guida del movimento nazionale italiano, e fattore non meno determinante per il successo ultimo della sua strategia al servizio della causa dell'Unità italiana.
L'asse della politica europea di Cavour fu l'alleanza con la Francia di Napoleone III, senza peraltro trascurare l'importanza, in momenti significativi, del rapporto con l'opinione pubblica, ambienti politici e governanti della liberale Inghilterra. E sappiamo anche come fu non lineare, e quali tormenti suscitò in Cavour, la ricerca dell'intesa con l'imperatore francese - basti pensare a quei drammatici giorni dell'aprile 1859 quando Cavour vide il suo disegno sul punto di crollare e visse momenti di estremo sconforto. Poi gli eventi presero il corso da lui voluto della II Guerra d'indipendenza. E le battaglie di Solferino e San Martino cementarono nel sangue un'alleanza che cento anni più tardi, nel 1959, il Presidente francese eletto l'anno precedente, il generale De Gaulle, volle, venendo in Italia per quelle celebrazioni, indicare come il «trovarsi insieme dei campioni di un principio grande come la terra, quello del diritto di un popolo a disporre di se stesso quando ne abbia la volontà e la capacità».
Infine, vorrei ribadire come l'altro fattore decisivo dell'affermarsi della funzione egemone di Cavour in Italia e del progredire della causa italiana, fu - come ha scritto Rosario Romeo - che «Cavour stette indubbiamente dalla parte del realismo e della moderazione, ma ebbe l'intuizione di ciò che valessero le forze e i motivi ideali nella costruzione dell'edificio italiano». E mi permetto di aggiungere, reagendo a una certa moda attuale di esaltare, rispetto a Cavour, altre personalità del Risorgimento e del movimento per l'Unità, che la grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e molteplicità delle sue ispirazioni e delle sue componenti; la grandezza di Cavour sta nell'aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte divergenti, nell'aver saputo padroneggiare quel processo fino a condurlo allo sbocco essenziale della conquista dell'indipendenza e dell'unità nazionale.
Quando, logorato da anni di dure fatiche e di «dolori morali», scrisse, «d'impareggiabile amarezza», cessò di vivere il 6 giugno 1861, Cavour poté senza dubbio lasciare come suo estremo messaggio quello che «l'Italia era fatta». Ma nel grande discorso per Roma capitale tenuto in Parlamento il 25 marzo, otto giorni dopo la proclamazione del Regno d'Italia, egli aveva affermato: «L'Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa». Tra quei «gravi problemi» era destinato a risultare come il più complesso, aspro e di lunga durata il problema del Mezzogiorno, dell'unificazione reale, in termini economici, sociali e civili, e dei suoi possibili modi, tra Nord e Sud. Possiamo dire oggi che quella resta la più grave incompiutezza del processo unitario.

mercoledì 29 settembre 2010

Presentato il catalogo del CESEDI per la scuola

Presentato il catalogo del CESEDI per la scuola

Anche quest’anno il Cesedi (Centro Servizi Didattici della Provincia di Torino) offre a insegnanti e alunni delle scuole superiori la possibilità di approfondire temi importanti e di sperimentare attività di integrazione didattica mettendo disposizione un ricco catalogo presentato stamani dall’assessore all’istruzione Umberto D’Ottavio. “ La novità di questa edizione – spiega l’assessore D’Ottavio - è la particolare attenzione dedicata alle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia con numerose proposte rivolte al mondo dell’educazione e dell’istruzione, ricordando il ruolo che proprio la scuola ha svolto nel processo di formazione della Nazione e nel “fare gli italiani”. Proseguono le iniziative a favore del rafforzamento degli interessi e dei saperi scientifici, fondamentali anche per lo sviluppo economico, e sono intensificate le possibilità di formazione e aggiornamento dei docenti delle istituzioni scolastiche e formative”. L’impegno del Cesedi per i 150 anni dell’Unità d’Italia prevede, in primo luogo, un sostegno economico con l’erogazione di vouchers e biglietti ridotti agli studenti per garantire, da marzo a novembre 2011, l’accesso all’offerta formativa, in particolare ai tre principali eventi programmati alle Officine Grandi Riparazioni di Torino: la mostra “Fare gli Italiani”; Futuro, un percorso sull’evoluzione del nostro modo di essere; Spazio Scuole, area dedicata ad accogliere le istituzioni scolastiche e formative da tutta Italia e le esperienze più significative in ambito di istruzione e formazione. Altre attività e percorsi didattici sul Risorgimento vengono proposte in collaborazione con enti e associazioni; alcuni titoli: l’Unità e le differenze: l’Italia e le identità degli italiani; 150° di memoria – Alla ricerca delle memorie degli anziani; passeggiate letterarie nella Torino risorgimentale; “Giovani To Cultura”; le mafie al Nord. In catalogo le consuete offerte che consentono ad alunni e insegnanti di approfondire temi rilevanti quali cittadinanza e democrazia; scienza e territorio con sezioni dedicate all’energie alternative e agli ecomusei della Provincia di Torino; uso del linguaggio; educazione alla cooperazione; parità, diritti e convivenza. Non mancano i numerosi corsi di formazione per i docenti, gli appuntamenti che prevedono tra l’altro approcci con la matematica e le materie scientifiche, i laboratori nei musei e altro ancora consultabile sul catalogo anche on line alla pagina www.provincia.torino.it/istruzione/cesedi. La presentazione delle proposte 2010-2011 è, per il Centro Servizi didattici, un importante traguardo che segna i 25 anni di attività. “Festeggiare i 25 anni del Cesedi - commenta l’assessore D’Ottavio - per noi significa festeggiare la scuola, rispettare il diritto di tutti a imparare di più e meglio; significa festeggiare con la scuola e per la scuola le mille iniziative di questi anni e i docenti che hanno svolto con pienezza la propria professione”.

domenica 26 settembre 2010

A Torino tagliati 800 professori

La tegola, questo era noto, stava per arrivare ed era bella grossa. L’entità dei tagli, parzialmente anticipati giorni fa, non dava adito a dubbi.
Anche così, i numeri snocciolati da Paolo Iennaco - il direttore dell’ufficio scolastico regionale convocato in Provincia - hanno gelato i consiglieri della terza commissione e rovinato la giornata a Umberto D’Ottavio, assessore all’Istruzione nella giunta Saitta. La seduta verteva sulla formazione delle classi e sugli organici dei docenti per l'anno scolastico 2010-2011. Unanime la conclusione dei presenti: il 2010 sarà quel che sarà, impossibile reggere un’altra ondata di tagli in futuro.
A riepilogare i dati è stato lo stesso D’Ottavio: «Iennaco ce li ha comunicati per la prima volta in modo preciso e ufficiale. Nell’anno scolastico appena avviato le scuole di Torino e della provincia dovranno fare a meno di 793 docenti e di 480 unità del personale Ata». L’acronimo indica quanti non sono impegnati nella didattica. In compenso, il sistema scolastico del Torinese reggerà l’impatto di 2 mila alunni in più.
A parziale consolazione, si potrebbero ricordare i 29 insegnanti recuperati alla scuola materna. Peccato che questo indicatore venga sommerso da una raffica di sforbiciate: 244 docenti in meno alle elementari, 99 alle medie, addirittura 450 alle superiori. Un ridimensionamento pesante, a fronte di quella che - rimarca D’Ottavio - è la più grande azienda del Torinese: 22.675 insegnanti, ai quali se ne aggiungono 2.500 di sostegno. Il ministro Gelmini dovrebbe tenerne conto».
Immediate le reazioni. Giuseppe Sammartano, presidente della terza commissione: «L’anno scolastico 2011-2012 non sopporterà un’altra riduzione». Claudio Lubatti, capogruppo Pd: «Il governo è riuscito nell’intento di penalizzare tutti: i docenti, gli studenti e le famiglie». «Realtà desolante - commenta Nicola Pomponio, Italia dei valori - A farne le spese sarà non soltanto la scuola ma la società che deve formare».

lunedì 20 settembre 2010

“ABBIAMO GIA’ MANDATO UNA DIFFIDA A PUNTO AMBIENTE”

“L’attività di controllo sull’impianto Punto Ambiente è stata avviata dalla Provincia di Torino a partire dal 27 aprile scorso ed è proseguita, su delega dell’autorità giudiziaria, fino al 31 agosto”. L’assessore all’Ambiente della Provincia di Torino Roberto Ronco interviene sulla vicenda dell’impianto di compostaggio di Druento. “Nel corso delle attività di verifica” prosegue Ronco, “condotte in stretto rapporto con Ato Rifiuti, sono stati compiuti numerosi sopralluoghi, anche insieme al personale dell’Arpa, per effettuare campionamenti e rilievi analitici. Sono emerse difformità rispetto alle prescrizioni impartite con l’Autorizzazione integrata ambientale, particolarmente rilevanti ai fini del contenimento degli odori. La relazione tecnica dell’Arpa, diffusa il 27 agosto e presentata in conferenza stampa il 14 settembre, è alla base dei provvedimenti già assunti dalla Provincia, che fino dal 7 settembre ha adottato un provvedimento di diffida con cui dispone che il gestore dell’impianto provveda ad attuare entro 30 giorni interventi strutturali e gestionali, come la chiusura del capannone adibito alla maturazione e allo stoccaggio del compost e il ripristino della piena funzionalità dei biofiltri. Qualora Punto Ambiente non esegua tali interventi, riducendo in modo significativo la causa delle emissioni, la Provincia sospenderà l’autorizzazione, con conseguente chiusura dell’impianto, riservandosi di revocarla se non saranno risolti i problemi”.

mercoledì 15 settembre 2010

Il discorso di Bersani a Torino

Care democratiche, cari democratici, cari amici, cari compagni,

questa nostra splendida festa è vissuta nel cuore stesso della città di Torino, città del Risorgimento e del lavoro. Città bellissima e ospitale. Assieme a voi saluto Torino e la ringrazio. Assieme a voi saluto il suo Sindaco, i dirigenti cittadini, provinciali e regionali del Partito. Grazie davvero.
E’ stata una grande e bellissima festa. Chi ha voluto aggredirla non è riuscito a sfregiarla. Nelle nostre feste, a differenza di ormai tutte le altre, si discute anche con chi non la pensa come noi, si discute anche con gli avversari politici, si discute dentro alle tensioni della politica e della società.
Si discute nelle piazze, all’aperto, secondo le normali regole della convivenza e dell’ordine pubblico. Penso che meriteremmo un ringraziamento da tutti quelli che sperano ancora che il nostro Paese possa essere un Paese civile. In ogni caso noi non accetteremo mai, così come ci ha cantato Francesco de Gregori in questa splendida piazza, che la gente rimanga chiusa in casa la sera.
Anch’io, assieme a tutti voi, mi rivolgo ai volontari della festa e li abbraccio tutti e a uno a uno: veri protagonisti di questo straordinario avvenimento. E saluto, attraverso loro, le decine di migliaia di volontari che hanno fatto vivere in Italia oltre 2.000 feste. Il nostro record. Fra di loro tutte le generazioni; quelle più anziane ma anche tanti giovani, sempre di più, e tanti nuovi italiani, sempre di più. Nessuno meglio di loro ci restituisce quello che è nostro. Il volto cioè di un grande Partito popolare che vive la politica nel suo territorio, che mette la politica nella vita comune dei cittadini, che crede ad una politica che guardi la gente da vicino e all’altezza degli occhi. Nessuno pensi di venirci a spiegare il radicamento! Abbassi la cresta chi vuole darci lezioni di territorio o farci la caricatura come fossimo un Partito in pantofole. Abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno. Ma, e qui siamo già fuori dai ringraziamenti e siamo già nella politica, in quell’impegno dei volontari dobbiamo riconoscere qualcosa di più e di più profondo di quello che può stare in un ringraziamento.

Grazie ai volontari. Solidarietà e civismo idee sorelle.Dobbiamo riconoscere ciò che muove milioni di volontari in Italia, non solo nella politica, ma nell’impegno sociale, culturale, ambientale e in ognuno dei mille e mille luoghi del Paese. Dobbiamo riconoscere la generosità, la gratuità di un impulso civico, di un lavoro fatto perbene, fatto per te e per gli altri, per la tua comunità. E’ ben difficile che un volontario così non sia poi nella vita di ogni giorno un buon cittadino, una persona perbene, che si comporta bene. L’idea di fraternità si dà la mano con l’idea di onestà. Sono due idee sorelle. Solidarietà e civismo sono idee sorelle. Se vogliamo ritrovare la strada dobbiamo tutti sapere che non si può stare bene da soli. Dobbiamo saperlo proprio nel momento in cui, è la crisi stessa che ce lo dice, l’unico motore della crescita può essere solo l’equità, possono essere solo redditi e consumi che nascano dal lavoro e non dalle bolle o dal debito, che nascano dalla crescita dei mercati interni e non solo dalle esportazioni, perché se tutti vogliono solo esportare, Cina, Germania e adesso anche Stati Uniti dovremo vendere a Marte i nostri prodotti. Quindi più equità, più crescita comune, più lavoro.

Serve un grande risveglio italiano. Sulla base di questi principi voglio oggi avanzare a voi e al Paese l’idea di un grande risveglio italiano. Di questo vi parlerò, di un risveglio italiano, non tacendo ovviamente della più stretta attualità politica, ma cercando di alzare la testa verso il futuro di un Paese che non potrà tornare a crescere senza un sogno, senza un progetto e senza rimboccarsi le maniche per conquistarli.



Vogliamo essere un grande partito nazionale.
Cari amici e compagni,

partiamo da un fatto. In un Paese come il nostro le migliori espressioni di solidarietà e di civismo hanno sempre la loro radice in un luogo, in un territorio. I mille luoghi italiani. Che Paese magico è il nostro! Ovunque una piazza, una torre, le campane, la fontana. Luoghi diversi tutti, tutti particolari e distinti, eppure tutti così riconoscibili, tutti così italiani. Una Nazione magica, la nostra, capace di esserci prima ancora di esistere. La Nazione più facile da riconoscere per chi ci guarda dal mondo, eppure una Nazione per cui è sempre stato difficile e ancora oggi è difficile farsi davvero comunità nazionale, farsi Stato, organizzare e garantire un progetto e un cammino comuni. Ancora oggi da noi, per la politica, la dimensione nazionale non è una cosa ovvia, come in altri Paesi, ma è una sfida, una sfida attuale e difficile. Qui, a Torino, il Partito Democratico raccoglie questa sfida. Vogliamo essere un grande Partito nazionale, che dice le stesse fondamentali parole a Napoli e a Varese; vogliamo dare sostanza vera ad un orgoglio nazionale, ad una dignità italiana. Questo impegno lo consegno qui, a nome vostro, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Caro Presidente, ti vogliamo bene.

I 150 anni impegno per costruire nuova unità.I 150 anni per noi non sono una commemorazione. Sono l’impegno a costruire le ragioni nuove di una nuova unità del Paese. Alle nostre spalle noi riconosciamo i fondamentali pilastri su cui appoggiare il futuro. Riconosciamo nella nostra storia i passaggi che possono ancora produrre energia per il futuro che vogliamo costruire. Riconosciamo il Risorgimento che ebbe qui a Torino il suo cuore pulsante e la sua direzione politica. Riconosciamo, nei decenni successivi all’unità, il grande movimento di solidarietà, di mutualità, di auto organizzazione, di emancipazione, variamente ispirato dalle culture cattolica, socialista, laica e repubblicana; un movimento che portò il popolo ad un protagonismo nuovo e ad una nuova presa di coscienza e che generò via via le grandi forze politiche popolari. Riconosciamo la battaglia antifascista, la Resistenza, la Liberazione e la nostra Costituzione repubblicana, la più bella del mondo, la Costituzione che ha dato luce, che darà luce a tutte le conquiste sociali e civili dell’Italia. Riconosciamo gli anni del dopoguerra, della ricostruzione e del riscatto, del risveglio economico e sociale, dell’incontro fra il popolo e la nuova democrazia e di una crescita economica che seppe dare la mano all’emancipazione sociale, di cui Torino fu uno straordinario e imparagonabile crocevia. Riconosciamo la risposta democratica e di popolo al sanguinoso attacco stragista, terrorista e mafioso degli anni ’70, ’80 e ’90. Riconosciamo l’irrompere fin dagli anni ’60, di una cultura partecipativa nuova che aprì le porte ad un protagonismo fino ad allora sconosciuto della società civile a partire da una rivoluzione femminile, formidabile e incompiuta, capace tuttavia di modificare l’universo mentale dell’intera nostra società. Riconosciamo le battaglie, le vittorie e le sconfitte dei riformisti italiani e le loro conquiste che ancora vivono: dalla scuola pubblica, allo statuto dei lavoratori, al servizio sanitario nazionale, fino al compimento del nostro destino europeo sotto la guida di Romano Prodi. Sentiamo che questi ed altri passaggi della nostra storia nazionale vivono ancora nella politica di oggi e ci parlano non con il linguaggio della nostalgia o della nobile conservazione, ma con il linguaggio dell’impegno e della battaglia per il futuro.

E' in atto disgregazione che rende più difficile sentirci italiani.
Ma a fronte di tutto questo, noi non possiamo non vedere che qualcosa di profondo è avvenuto e sta avvenendo. Qualcosa che ci dissocia, che ci disgrega, che ci frantuma; qualcosa che sta rendendo più difficile il sentirci italiani e concepirci come una comunità che cerca la sua strada nella dimensione europea e globale. Ecco allora il punto. Io non vi parlerò di tutto, tralascerò tante cose. Ma di questo vi voglio parlare. Noi italiani sappiamo di essere meglio di quello che ci succede. Molto meglio. Ma non vediamo la strada, non siamo sicuri del cammino. Di questo voglio parlarvi, dell’essenziale. E cioè del nostro progetto per l’Italia, delle proposte e delle promesse che vogliamo fare al nostro Paese.


Il nostro Paese scivola. E’ inutile ed è infantile nascondere la realtà. Ormai da anni il nostro Paese sta scivolando. Non perderò tempo con i numeri, ma non c’è numero, non c’è parametro, non c’è confronto che non ci dica questo. Ci allontaniamo rapidamente dai Paesi più forti d’Europa con cui abbiamo abitato per molti anni e ci avviciniamo rapidamente ai Paesi più deboli. La crisi (ormai è chiaro, al di là delle favole che ci raccontano tutti i giorni) sta accelerando questa discesa e questo distacco. In due anni abbiamo perso ricchezza quasi per il doppio rispetto all’Europa. I timidissimi segnali di ripresa noi li stiamo prendendo non per il doppio ma per meno della metà. Abbiamo perso molti metri e nella rincorsa siamo in coda. Tutto questo lo si tocca con mano nella vita reale. Redditi e consumi si indeboliscono, il debito pubblico aumenta drasticamente, il risparmio delle famiglie si assottiglia, c’è meno lavoro, si allarga un’ombra sulla tenuta dei fondamentali servizi, c’è un’inquietudine profonda per le prospettive della nuova generazione mentre cresce uno strato di cinquantenni che non riescono a trovare lavoro e reddito sufficiente. Tutto questo avviene mentre aumentano le differenze e gli squilibri. La disuguaglianza aumenta, il ceto medio si indebolisce, cresce la fascia di povertà, la ricchezza si concentra in fasce sempre più strette e sempre più distanti dalla condizione di vita normale dei cittadini e siccome il 10% della popolazione non può mangiare dieci volte al giorno, tutto questo impedisce la ripresa e la crescita. Fra nord e sud il divario aumenta sotto ogni parametro, a cominciare dall’occupazione dei giovani, e aumenta la sfiducia di poterlo colmare. Anche settori produttivi si dividono fra chi ha saputo e potuto innovare e si è collegato alle esportazioni e chi no, fra chi lavora con il pubblico e chi con il privato, fra chi ha qualche risorsa di liquidità e chi è impiccato alle banche. C’è chi non lavora e non guadagna, c’è chi lavora e non guadagna abbastanza, e c’è chi guadagna qualcosa lavorando e chi guadagna molto non facendo nulla.

Alla politica spetta un progetto comune e il berlusconismo impedisce la riscossa del Paese.
E’ sempre più difficile dire una parola che valga per tutti, è sempre più arduo unificare le intenzioni e gli interessi di uno sforzo comune. E’ questo, fondamentalmente, che sarebbe toccato alla politica: un progetto comune. E qui sta il cuore della nostra critica. Quello che chiamiamo berlusconismo e che si aggira per l’Italia da quindici anni e che in un patto di ferro con la Lega ha governato per sette anni degli ultimi nove, ha accompagnato questo scivolamento dell’Italia, ha favorito la disarticolazione del Paese, il suo ripiegamento corporativo e oggi ne impedisce la riscossa innanzitutto deformando i codici e essenziali che reggono il senso di sé di una comunità nazionale. Per descrivere questa deriva non servono molte parole, che ci siamo perfino stancati di ripetere. Facciamo il riassunto. Quell’idea deformata di democrazia, il “ghe pensi mì” non ha portato nulla di concreto nella vita degli italiani, nulla di nulla. Nessuna vera riforma per il Paese, solo una favola al giorno per i sondaggi del giorno dopo; la discussione pubblica piegata solo e sempre ai problemi suoi , mai a quelli del Paese; nel messaggio di governo una psicologia da miliardario per il quale l’ottimismo non costa niente perché c’è sempre il sole e non piove mai; all’ombra del Capo autostrade aperte alla corruzione, cordate degli amici degli amici con leggi fatte apposta per loro e case pagate dalla Fata turchina e un ribaltamento di valori. Valori a rovescio, in questi anni, e doppia morale: bella vita e comportamenti a piacimento per il Capo e la sua cerchia e la riscoperta di un’etica rigorista sulla pelle degli altri, magari del povero Welby o di tutti quelli che devono morire attaccati a mille tubi in un ospedale. Valori a rovescio, e disprezzo per la vita comune. La condizione femminile ridotta ad oggettistica del berlusconismo; lavoratori che devono andare sui tetti per farsi sentire; imprenditori onesti che fanno le cose perbene che si vedono sorpassati dalle fortune di chi ha portato i soldi all’estero o da chi non paga le multe del latte. Gliele paghiamo noi, le multe, mentre i genitori che hanno i figli alle scuole dell’obbligo fanno collette per la carta igienica o per l’ora di inglese. Un ribaltamento di valori. E l’immagine dell’Italia all’estero devastata da una politica da imbonitori. Mentre abbiamo soldati che rischiano la vita i Afghanistan riduciamo una caserma dei nostri Carabinieri a Roma ad un palcoscenico stile Gheddafi. E sotto a tutto questo c’è forse stato, negli anni di Berlusconi e della Lega qualcosa di concreto e di positivo che possiamo misurare? Ci sono forse meno tasse, per chi le paga? No, ce n’è di più, c’è il record storico delle tasse! C’è più lavoro? No, ce ne è meno. C’è meno burocrazia, c’è qualche nuova politica sociale? I Comuni stanno meglio? L’ambiente sta meglio? In che cosa è migliorato il Paese con questa lunga cura di Berlusconi e della Lega? In niente è migliorato! E questa è la ragione di fondo della crisi del centro destra, la percezione che si sta perdendo la presa e che le cose non girano. E non girano per un motivo molto semplice. Non può migliorare se chi lo governa, come avviene in tutti i meccanismi populisti è schiacciato sul presente, deve vivere del consenso quotidiano, della propaganda quotidiana, di una comunicazione pubblica messa al guinzaglio, di un dibattito pubblico messo al guinzaglio.

L'Aquila, drammatica metafora del berlusconismo. E l’Aquila, che salutiamo qui ribadendo la nostra solidarietà e il nostro impegno, non è forse la drammatica metafora di questo modo di governare? Vendersi sotto i riflettori il miracolo di un giorno per poi lasciare il problema al buio, senza una prospettiva? E non è stato così per tutto, in questi anni? Non è stato così per la crisi? A che cosa è servito dire che non c’era e vendersi ogni giorno un raggio di sole? A che cosa è servito se non a stare con le mani in mano? Ecco allora alla fine del riassunto di che cosa io accuso Berlusconi e la Lega. Di aver lasciato il Paese senza un’idea di futuro, di avergli rubato l’orizzonte, di aver trasformato il sogno in una favola, in una bolla di sapone. Qui vedo il nostro compito; aiutare l’Italia a riprendere il suo sogno. Far vivere un progetto nuovo che solleciti uno sforzo comune, in cui chi ha di più deve dare di più. Il progetto, dunque. Propongo oggi due pilastri di questo progetto il primo: più lavoro e nuovo lavoro per tornare a crescere e per vivere meglio; il secondo: una riscossa civica per tornare a crescere e per vivere meglio.

Lavoro è dignità e libertà della persona.
Il Lavoro. Si dice che il lavoro non è tutto, si dice che è una parola antica. Certo che non è tutto, certo che è una parola antica, ma questo può dirlo chi il lavoro ce l’ha, e ce l’ha in modo dignitoso e amichevole verso la sua vita e le sue vocazioni. Il lavoro con dignità, il lavoro non per morire e non solo per sopravvivere ma per vivere da persona. Il lavoro che serve, sì, per mangiare, per farsi una famiglia e avere un tetto, per allevare i figli; ma il lavoro che è anche la libertà di una persona, la sua dignità, la sua possibilità di stare con gli altri e di avere un ruolo nella società. Il lavoro dipendente, in ogni sua forma pubblica e privata, ma assieme il lavoro dell’artigiano, del commerciante, dell’agricoltore, del professionista, del piccolo imprenditore, dell’artista. Non parlano forse così gli italiani, che siano attori o idraulici o informatici o operai o giovani disoccupati: c’è il lavoro, manca il lavoro, mi piace o non mi piace il mio lavoro. E’ il lavoro, alla fine, che mette la società con i piedi per terra e che garantisce una giusta scala di valori. La nostra proposta di crescita in campo economico e sociale si organizza attorno al lavoro: più lavoro per avere più crescita. Attorno a questo concetto noi mettiamo a convergenza e a sintesi le proposte che stiamo già concretamente elaborando. Vogliamo prima di tutto un fisco che aiuti il lavoro e la crescita. Siamo pronti ad avanzare una proposta che mette al dettaglio una profonda riforma fiscale. I paletti essenziali sono questi: spostare il carico fiscale dal lavoro, dall’impresa e dalla famiglia con redditi medio-bassi verso l’evasione fiscale e verso i redditi da finanza e da patrimonio. Non è possibile che l’aliquota del primo scaglione di un lavoratore sia più alta dei redditi da finanza e da patrimonio. Semplificheremo le aliquote intermedie, aiuteremo le famiglie con un bonus figli, favoriremo il lavoro femminile, ridurremo le imposte sull’impresa a favore di una loro patrimonializzazione, con una profonda ristrutturazione di tutta la fiscalità d’impresa, faremo una fiscalità favorevole alle attività verdi e introdurremo misure precise ed efficaci per ridurre l’evasione fiscale. Lanceremo una Maastricht della fedeltà fiscale per metterci in cinque anni nella media europea. Ciò significa 40-50 miliardi di Euro con immediato alleggerimento sul carico fiscale di lavoro, impresa e famiglia e con un margine di risorse per investimenti. Con un fisco così si può fare equità, si può fare giustizia e si fa occupazione.

Sappiamo bene che per il lavoro e la crescita ci vogliono riforme e risorse. Non siamo dei demagoghi. Siamo un Partito di governo momentaneamente all’opposizione. Ci sono risorse che si possono aggiungere al recupero fiscale. Sappiamo dove e come reperirle sia mettendo le mani nella spesa corrente della Pubblica Amministrazione che è aumentata a dismisura nonostante i tagli indiscriminati alla scuola a cominciare dai beni e servizi, dalla semplificazione di strutture amministrative, da standard di costi nella sanità e nei grandi servizi, sia con entrate straordinarie da mettere in gioco a cominciare dalla messa a gara delle frequenze liberate dal digitale terrestre, sia risagomando spese di investimento, perché ai fini dell’occupazione un conto è il Ponte sullo stretto e un conto sono 500 cantieri locali sia dal lato di nuovi meccanismi che diano spinte ed orizzonte agli investimenti privati. Meglio 500 cantieri locali che il Ponte sullo Stretto. Per il lavoro sappiamo dunque dove prendere i soldi e sappiamo dove metterli. Prima di tutto li mettiamo nel sapere, nella conoscenza. Senza il sapere il lavoro di domani non c’è. Il sapere è tradito in Italia. E’ colpito dal più grande licenziamento di massa della nostra storia e da una riorganizzazione caotica capace solo non di qualificare ma di ridurre l’offerta formativa, di ricerca e di cultura.

Università: non siamo per baroni e carrozzoni.
Non è questione di conservare quel che c’è è questione di potenziare e migliorare l’offerta di conoscenza. Non ci facciano, per favore, la caricatura. Non siamo per indiscriminate sanatorie, non siamo per i baroni o per i carrozzoni. Valutazione, merito, qualità, responsabilità e autonomia delle Agenzie formative e culturali, ringiovanimento e unificazione contrattuale della ricerca italiana, nuovi contenuti nei sistemi formativi a cominciare da quelli tecnici e così via. Le dieci proposte sull’Università che abbiamo varato all’ultima Assemblea Nazionale, le proposte sulla scuola che arricchiremo nella prossima Assemblea e che porteremo davanti alle scuole che stanno aprendo in questi giorni, non rifiutano l’innovazione ma anzi la chiedono. Noi rifiutiamo la riduzione dell’offerta formativa e della ricerca, rifiutiamo la riduzione dell’obbligo, rifiutiamo l’abbandono scolastico e il nuovo analfabetismo, rifiutiamo l’idea che un professore che insegna da 15 anni sotto il titolo di precario venga trattato come un mangiapane a tradimento e lasciato per strada senza neanche un tavolo di crisi, rifiutiamo il rischio di collasso gestionale dell’Università, rifiutiamo il massacro dell’offerta culturale fatta passare in toto come culturame parassitario. Al di là dei problemi di prospettiva siamo a una vera e propria emergenza per la scuola, l’università e la cultura. Ecco una proposta per l’emergenza. Il Governo rinunci all’ossessione del controllo sull’universo televisivo. Si mettano immediatamente a gara le frequenze liberate dal digitale terrestre, incassiamo un po’ di quei miliardi che dagli Stati Uniti fino alla Germania tutti si sono presi e investiamo quei soldi subito sulla conoscenza e sul sapere. La nostra proposta per il lavoro si compone di alcuni fondamentali Progetti-paese che siamo pronti a discutere nel dettaglio. Progetti di politica industriale (in attesa che Mastro Geppetto ci faccia un ministro di legno) e cioè un piano per nuovi brevetti e la loro industrializzazione e per la qualificazione dell’offerta turistica alberghiera e dei servizi. Basta trasferimenti generici alle imprese. Per le imprese due sole cose: una fiscalità migliore e un sostegno all’innovazione. Solo l’innovazione può darci lavoro nuovo; o pensiamo forse che le marche tedesche vendano più auto perché in Germania non ci sono i tre operai di Melfi? Un Progetto-paese sulla banda larga: l’infrastruttura della rete per l’efficienza del sistema e per nuova occupazione e nuova impresa. Un progetto-paese per le ristrutturazioni edilizie incentivate, per far emergere il nero, promuovere il risparmio energetico e antisismica. Un Progetto-paese per il risparmio energetico nei trasporti, nelle imprese e nelle abitazioni. Un Progetto-paese per la casa in affitto fatto sul serio, e fuori dalle favole miracolistiche di Berlusconi o di Brunetta. Tutti piani questi che siamo pronti a descrivere, che per una parte si pagano da soli e che possono trasformare il risparmio privato in investimenti e in lavoro.

Enti locali: correggere il patto di stabilità. E gli Enti locali infine. Gli Enti locali non sono la malattia ma possono essere la medicina. Dobbiamo utilizzare gli Enti locali per far fronte al problema sociale consentendo l’occupazione nei servizi, non permettendo ad esempio che dopo i tagli del Governo vada a rischio il 30% dei servizi e dell’occupazione nel trasporto pubblico locale. Dobbiamo usare gli Enti locali per investimenti che portino subito occupazione buona migliorando le città e garantendo sicurezza alle scuole. Dobbiamo correggere dunque finalmente e subito in modo intelligente e selettivo il Patto di Stabilità finendola con la follia di lasciare nel cassetto i soldi dei Comuni virtuosi.

No a rendite e corporazioni che rubano il futuro dei giovani.
E facciamo in nome del lavoro, riforme che disturbano sì ma non costano. Apriamo e regoliamo i mercati. Consentiamo ai giovani un accesso più facile ai mestieri e alle professioni e aiutiamo i consumi e quindi l’occupazione alleggerendo il peso dei consumi obbligati: assicurazioni, benzina, costi bancari, farmaci. Abbiamo su questo proposte precise e coraggiose. Non consentiamo che le rendite e gli egoismi corporativi rubino il futuro ai giovani e il reddito alle famiglie.

L'Italia non si salva senza il Sud. E voglio inserire qui, mentre parlo di lavoro, il tema del Mezzogiorno. Qui a Torino, città italiana davvero, che è stata ed è una delle città più grandi del nord e del sud di questo paese, noi vogliamo pronunciare ancora la questione meridionale. Chi pensa di non parlarne più, chi pensa di lavarsene le mani, chi pensa di salvarsi da solo non ha capito nulla. Le possibilità di sviluppo dell’Italia sono inestricabilmente collegate alla capacità di mettere in moto le risorse potenziali del Mezzogiorno. Ma bisogna cambiare registro. C’è una sfida di cambiamento che deve rendersi visibile nel sud. Certamente quella sfida riguarda anche noi e abbiamo cominciato ad affrontarla anche a prezzo di scelte dolorose; ma attenzione a mettere tutto nel mucchio tacendo ad esempio del tradimento che il centro destra ha consumato nel sud rapinandolo, spargendo nuove illusioni come si fa oggi con la famosa Banca del Sud e soprattutto non mettere tutto nel mucchio, e lo dico in ricordo di Angelo Vassallo, senza distinguere fra chi è con e chi è contro la camorra o la mafia o la ndrangheta. Girano troppi giudizi approssimativi sul Mezzogiorno, qualche volta anche in casa nostra. Voglio dirvi qui che noi abbiamo tanta nostra gente sul fronte. Non possiamo lasciarla sola. Ho fatto per tanti anni anch’io l’amministratore. Un conto è dire no in Emilia-Romagna, un conto è dire no in Campania, in Calabria, in Sicilia di fronte a bisogni radicali, a bisogni spesso aggressivi e soprattutto di fronte ad una criminalità spietata. Se non diamo una mano agli onesti rimarranno solo i disonesti. E per dare una mano agli onesti la cosa più importante che possiamo fare è sostenere tutti assieme e ovunque, una nostra proposta nazionale sul Mezzogiorno fatta di due cose: Legalità e Lavoro. Ne discuteremo a Napoli, alla festa del Mezzogiorno e in altre occasioni che stiamo preparando. Vogliamo aprire la strada ad una nuova classe dirigente sulla base di nuove idee. E già nell’immediato diamo i segni di questa novità. Si discuterà nelle prossime settimane di come usare i soldi rimasti da fondi europei, nazionali e regionali. Per la ventesima volta il Governo dice che presenterà un piano. Comincio io a dire qualcosa di chiaro a proposito di come spendere i soldi. Primo: basta intermediazione amministrativa con le imprese dove si annidano pericoli di ogni genere. Si usino i soldi per un credito d’imposta sulla nuova occupazione che duri dieci anni, rafforzato per giovani e donne creando così una fiscalità di vantaggio per il nuovo lavoro. Secondo: i soldi diretti alle pubbliche amministrazioni centrali e locali si impegnino in servizi di cittadinanza in primo luogo i servizi della legalità rafforzando l’organizzazione della giustizia e della sicurezza, che è messa molto male, e si impegnino in servizi collettivi: frequenza scolastica, rifiuti, acqua, assistenza agli anziani. Con un metodo: i soldi solo a chi raggiunge per conto suo primi risultati; niente soldi a chi i risultati li promette soltanto. Un investimento dunque sulla cittadinanza nel Mezzogiorno perché dove sta bene un cittadino sta bene anche una impresa. Questo è il concetto.
Un'ora di lavoro stabile non può costare meno di un'ora di lavoro precario.
Parlare di lavoro vuol dire parlare anche di regole e di nuovo patto sociale. Nell’ultima Assemblea abbiamo detto parole chiare sull’unificazione de diritti al lavoro a partire dal dato di fondo che sta in poche parole: un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile. Questa è una riforma su cui ci impegniamo secondo una strada in grado comunque di garantire una riduzione del costo medio del lavoro per l’azienda. Avanziamo proposte anche per l’indennità di disoccupazione e per la riforma degli ammortizzatori che si è persa totalmente nella nebbia. Lanciamo qui un allarme sulla questione degli ammortizzatori a fronte di una crisi che si aggrava. Dopo i tagli alle Regioni, con l’anno prossimo, chi ci metterà i soldi? Come risponde il Governo? Vogliamo ancora portarli via dagli investimenti, cioè dal lavoro, e magari ancora dagli investimenti al sud?

Un nuovo patto sociale, senza dividere i lavoratori. Sappiamo bene che davanti alla globalizzazione ci vuole un nuovo patto sociale. Lo vogliamo anche noi. Ma vogliamo forse farlo dividendo i lavoratori fra chi avrebbe la testa nell’800 e chi nel 2000, fra chi capisce la globalizzazione e chi no? Siamo tutti oltre il 2000 e il cervello ce l’abbiamo tutti. Il più grande risultato della destra e il più grande danno al Paese è stata la divisione del lavoro. Riconquistare l’unità del lavoro è una esigenza nazionale. Un Governo tradisce il Paese se lavora per la divisione. C’è molta tensione in giro. Se un Governo accende i fuochi, chi li spegnerà?

Gli accordi contrattuali devono essere esigibili. E’ giusto e tutti devono riconoscerlo. Ma perché sia così bisogna regolare la partecipazione dei lavoratori, regolare rappresentanza, rappresentatività e validazione degli accordi. Cerchiamo insomma nuovi strumenti di protagonismo e di partecipazione dei lavoratori come strada per la ricomposizione del mondo del lavoro e facciamo da sponda con una legislazione che sostenga questi meccanismi e aggiorni il quadro dei diritti comuni dei lavoratori. Solo un nuovo equilibrio fra legislazione e negoziazione può permetterci di reggere gli effetti della globalizzazione sulle condizioni di lavoro. La contrattazione da sola non basterà.
Caro Tremonti la 626 non è un lusso! No alla mistica meno Stato più società
E teniamo ferme in particolare le normative sulla sicurezza così come ci ammonisce la tragedia di ieri. Altro che “il lusso della 626.” Caro Tremonti! E il Governo per favore, caro Sacconi, non ci proponga la mistica del meno Stato più Società: uno slogan che può servire a tanti usi buoni e cattivi, compreso quello di oscurare i diritti, compreso quello di dividere e frantumare di più un Paese già diviso. No. Stato e Società si devono dare la mano. Diritti, partecipazione e sussidiarietà si devono dare la mano. Solo così si tiene assieme un paese.Il risveglio italiano come ho detto è fatto di lavoro ed è fatto di riscossa civica. Legalità, onestà, regole, fedeltà ai grandi principi costituzionali. Legalità vuol dire prima di tutto lotta alle mafie. I nostri eroi sono Falcone e Borsellino, sono Vassallo. Gli eroi degli altri non ci piacciono. Pretendiamo verità e giustizia in tutte le zone d’ombra che pesano da anni sulla coscienza del Paese. Vogliamo salutare e incoraggiare i risultati delle forze dell’ordine, della magistratura che spesso il Ministro dimentica di ricordare e rafforzare i loro strumenti e non ridurli come si è cercato di fare con la legge sulle intercettazioni che l’opposizione ha stoppato. Vogliamo diffondere una cultura della legalità sostenendo le organizzazioni civiche e l’iniziativa dei Giovani Democratici che saluto qui e che sono impegnati in un rafforzamento organizzativo che sosterremo. Legalità significa lotta alla corruzione. Ci impegniamo a cancellare tutte le leggi che hanno favorite la corruzione e le cricche. Leggi sulla protezione civile, sull’ambiente, sulla cultura, sugli appalti pubblici. Ci impegniamo per una riforma della giustizia fatta per i cittadini e non per uno solo. Le proposte avanzate nella nostra ultima Assemblea sul processo civile, i tempi e la garanzia del processo penale, l’organizzazione della giustizia vanno nel senso di migliorare un servizio che oggi funziona male per tutti i cittadini. Ci impegniamo per una legge contro le posizioni dominanti sulla comunicazione. Faremo vivere la proposta già avanzata per fare della RAI un’azienda libera, fuori dalla vergognosa sudditanza di oggi. Ci impegniamo a sostenere le norme che abbiamo già presentato sul conflitto d’interessi. Ci impegniamo a parametrare i costi della politica a quelli dei Paesi europei. Ci impegniamo per una legge elettorale che dia lo scettro ai cittadini per scegliere i Parlamentari e che sostenga un bipolarismo civile ed europeo non esposto a rischi plebiscitari che ci potrebbero portare in altri continenti. Ci impegniamo a sostenere il nostro progetto di riforme istituzionali e di rafforzamento e semplificazione del sistema parlamentare.

Federalismo delle responsabilità e non delle chiacchiere. Ci impegniamo per un federalismo non delle chiacchiere, non dei decreti mensili con dentro nulla; ad un federalismo delle responsabilità che consenta a chi ce la fa di fare un passo in più e che garantisca uguaglianza nei servizi essenziali per ogni cittadino italiano così che resti chiaro che per noi davanti ad una malattia seria non c’è né emiliano, né calabrese, né marocchino. Ci impegniamo per la libertà della rete e per l’accesso alla rete come grande servizio dei tempi nuovi. Ci impegniamo ad una politica per i consumatori già iniziata e totalmente abbandonata oggi.
Garantire presenza femminile nei luoghi cruciali.
E vogliamo impegnarci sul grande tema dei diritti civili rilanciando in particolare, e lo faremo con la Conferenza delle Donne del PD, la questione femminile. La condizione femminile resta paradigma di tutte le differenze, di tutte le disuguaglianze, di tutte le diversità, un traino culturale fondamentale di tutti i percorsi di uguaglianza dei diritti. A partire dalla Conferenza delle Donne sosterremo una nuova legislazione sulla parità secondo un principio molto semplice: lo stato deve garantirsi che ci sia una presenza femminile nei luoghi cruciali delle decisioni politiche ed economiche. Sosterremo la legge contro l’omofobia. Denunceremo con ancora più forza chi invece di risolvere il problema dell’immigrazione, come toccherebbe ad un Governo, lo coltiva e lo usa per un tornaconto politico. Sull'immigrazione noi non siamo ingenui né buonisti. Sappiamo che per il futuro del Paese è necessario dare una buona regolazione a questo grande fenomeno. Non è giusto che l’inevitabile disagio che accompagna grandi migrazioni si scarichi socialmente sulla parte più debole della popolazione nella sua vita comune, nella struttura delle città, nell’offerta dei servizi. Le fasce di reddito meno disturbate da questo disagio diano il loro contributo, luogo per luogo, a proposito di federalismo fiscale, perché davanti alla pressione dei nuovi poveri non si riducano le prestazioni per i residenti in difficoltà. Si cominci finalmente una politica per l’integrazione, sola chiave per tirare una riga davvero sulle irregolarità e i comportamenti deviati.
Chi nasce in Italia è italiano. E si cominci dai figli degli immigrati. Cinquantamila bambini che nascono ogni anno e che non sono né immigrati né italiani. Vogliamo dire a questi bambini chi sono? Noi glielo diciamo: sono italiani. E infine e più di ogni altra cosa noi ci impegniamo a difendere la nostra Costituzione contro l’offensiva populista e plebiscitaria. Non accetteremo che venga messa nel ripostiglio delle cose vecchie. Quando abbiamo fatto qualcosa di buono in questo paese è perché abbiamo rincorso la nostra Costituzione e ancora dobbiamo rincorrerla perché è più avanti di noi. Ricordiamoci che abbiamo già vinto un referendum contro chi voleva stravolgerla. Se ci proveranno ancora li sconfiggeremo ancora. Pensiamo dunque ad una grande piattaforma di leggi che sostengono una riscossa civica del nostro Paese. Le leggi non sono tutto ma possono aprire la strada a nuovi comportamenti. Basta con i peccati veniali che sono sempre quelli che fai tu o che fanno i tuoi amici. Un peccato è un peccato, un reato è un reato, un imbroglio è un imbroglio, una maleducazione è una maleducazione. E cominciamo da noi Democratici. Noi vogliamo essere gente perbene perché vogliamo che l’Italia sia un Paese perbene.

Cari amici e compagni,
queste nostre idee ci guideranno oggi per l’opposizione e domani per il governo del Paese. Vogliamo discuterle non solo dentro la politica ma con ogni forza viva della società. Vogliamo discutere le idee di chiunque sia preoccupato per la realtà e le prospettive dell’Italia così come abbiamo fatto nei giorni scorsi sull’importante documento della Conferenza Episcopale Italiana in preparazione della Settimana Sociale.

Nuovo Ulivo per alleanza affidabile. E vogliamo discutere queste idee con le forze di centrosinistra disposte a stringere con noi un patto che abbiamo voluto chiamare Nuovo Ulivo. Nuovo Ulivo per dire che meccanismi di alleanza non affidabili come l’Unione non li vogliamo più. Non voglio più Governi che disfano al mattino quello che hanno fatto la sera prima. Chi ci sta si vincola ad un progetto comune e ad un accordo politico e offre la disponibilità ad un percorso che aiuti la riorganizzazione di un centrosinistra di governo. Chi ci sta conviene sulla centralità dell’Europa, su una comune piattaforma europea che stiamo discutendo con tutte le forze progressiste d’Europa per un rilancio della dimensione federale europea e per nuove politiche di intervento sul lavoro e sulla crescita. Chi ci sta conviene con noi che non potranno essere i partiti soli a interpretare il risveglio italiano. I nostri Partiti devono mettersi all’aria aperta, al servizio di un movimento in cui vivono il protagonismo e la speranza di tanti. Nei tempi nuovi e con un progetto nuovo deve tuttavia suonare ancora una canzone popolare. Questo intendiamo.
Noi vogliamo che a partire dal Nuovo Ulivo si cerchino le condizioni, se esistono, per un patto di governo con le altre forze dell’opposizione parlamentare. Vogliamo che a partire dal Nuovo Ulivo si cerchino le condizioni per discutere con tutti, con tutti quelli disponibili, fuori e dentro il Parlamento, di regole del gioco, di riforma delle istituzioni di difesa della Costituzione. La democrazia non è solo affare nostro. Bisogna che tutti se ne preoccupino. Questo intendiamo parlando di alleanza per la democrazia. A chi critica plebiscitarismo Berlusconi chiediamo coerenza e concretezza. Ci si sta scontrando aspramente nel centrodestra. Una parte della destra sembra cercare una prospettiva più europea e costituzionale mettendo a critica le piegature plebiscitarie di Berlusconi. Se è così chiediamo coerenza e concretezza a cominciare dal rifiuto di ogni norma che discrimini i cittadini davanti alla giustizia.
Con questa chiara impostazione e quindi sapendo bene quello che vogliamo e qual è la nostra ricetta noi affrontiamo i problemi e le opportunità di questa fase convulsa. Una fase politica di cui non possiamo conoscere la durata ma di fronte alla quale dovremo mostrare combattività e tenuta.

Crisi conclamata del centrodestra. Si rimettano al Presidente della Repubblica e alle Camere.
Noi siamo di fronte ad una crisi politica conclamata del centrodestra che non è in condizione di garantire al Paese qualcosa che assomigli ad un governo vero. Dopo che il Partito del predellino si è ribaltato alla prima curva cercano ancora di promettere al Paese una stabilità che non può esserci, una governabilità che non può esserci, tutti lo sanno. E tutti sanno che il Paese ha problemi molto seri. Vengano in Parlamento e riconoscano la crisi politica e si rimettano al Presidente della Repubblica e alle Camere. Così indica la nostra Costituzione e fin che non avremo la Costituzione di Arcore devono rispettare questa sulla quale hanno giurato.

Disponibili a un breve governo di transizione per la nuova legge elettorale e poi al voto.
Se tutto ciò avvenisse, noi abbiamo già chiarito quale sarebbe la nostra disponibilità. Un breve Governo di transizione con al primo punto una legge elettorale nuova che metta in condizione di sicurezza democratica le prospettive del Paese. Devo ripeterlo ancora: una legge che ti consente di nominare i parlamentari e magari con un 30-35% di voti poter decidere tutto è diventata una minaccia vera all’equilibrio dei poteri previsto dalla nostra Costituzione. Dunque un breve Governo di transizione e poi andare a votare confrontando nuovi e più chiari progetti politici. Loro dicono di no. In questi giorni stanno mettendo su un nuovo registro. Dopo tante esibizioni muscolari e parole tonanti i nostri Rodomonti vogliono traccheggiare. Vogliono far battere la palla non sapendo bene dove tirarla. Partono campagne acquisti. Si cercano parlamentari collaborazionisti promettendo la rinomina. Chi ha abbaiato padanamente in questi giorni si prepara a non mordere. Diciamolo chiaro: da PDL e Lega una commedia vergognosa. Siamo nella crisi economica e sociale più acuta dal dopoguerra. Le risposte che non sono venute fin qui come mai potranno venire da qui in avanti?

Noi siamo pronti, sono loro ad aver paura delle elezioni. Sia chiaro: se nei prossimi mesi avanzerà l’irresponsabile traccheggiamento di un governicchio si aspettino da noi una opposizione durissima per ogni ora di ogni giorno a venire. Avevano tirato fuori le elezioni anticipate, poi se le sono rimesse in tasca. Vedrete che al primo inciampo faranno di nuovo la faccia truce, minacceranno il voto, diranno che ci stritolano e che noi abbiamo paura. Ma se abbiamo così paura noi perché ve le siete rimesse in tasca voi le elezioni? Quando ci saranno le elezioni anticipate (perché tre anni sono troppo lunghi, ognuno lo vede), noi comunque saremo pronti perché quelle elezioni avranno un padre e una madre: Berlusconi e la sua crisi, Berlusconi che fallisce nonostante la sua maggioranza galattica, i suoi miracoli, i trombettieri al seguito e i fedeli scudieri. La Lega prima di tutto. La Lega, quella della spada che non conosce fodero; quella che fa da sottovaso al Cavaliere, che sta vicino vicino allo zio per prenderne l’eredità e non vuole badanti di mezzo. Che cosa ha fatto la Lega dei suoi valori e delle sue promesse? I Comuni stanno forse meglio da quando a Roma governano i federalisti del week end? E i famosi territori che cosa hanno visto di nuovo oltre alle ronde che si sono perse anche loro nel bosco? Hanno inventato forse qualcosa di paragonabile a quel che hanno inventato le nostre culture: gli asili nido, le scuole dell’infanzia, i servizi per gli anziani, le aree artigianali, l’urbanistica, tutto abbiamo inventato. Loro nulla; e la moralità pubblica, cari leghisti e l’impronta popolare di cui vi vantate che fine hanno fatto? Non ci sarebbe stata nessuna legge ad personam se non ci foste stati voi a votarla. Vi ho già detto: per favore non parlateci più di Roma ladrona se siete lì a tenere il sacco a quattro ladroni di Roma. Noi con voi non abbiamo mai fatto gli snob. Vi parliamo chiaro e semplice, così come fa la nostra e la vostra gente. Vi chiediamo che cosa fate lì, che cosa ci state a fare con il miliardario? Attenzione: uno che va troppo ad Arcore può lasciarci la canottiera! Argomenti ne abbiamo a bizzeffe per combattere e anche per divertirci un po’. Noi dobbiamo solo raccogliere tutte le nostre forze e metterle in campo. Le forze del centrosinistra, innanzitutto, alle quali avanziamo l’idea del Nuovo Ulivo. Adesso ognuno è di fronte alle sue responsabilità. Finiamola col gioco per cui per far vedere quanto uno è contro Berlusconi se la prende con il PD. Noi siamo rispettosi di tutti, noi vogliamo una coalizione univoca e coesa e siamo pronti a discutere con la coalizione tutti i percorsi comprese ovviamente, in caso di elezioni, le primarie. Le abbiamo inventate noi e quindi nessuno può tirarci per la giacca. Prima il comune progetto fondamentale, poi le persone: questo è il nostro metodo, perché il problema dell’Italia (dovremmo averlo già visto!) non lo risolve una persona sola. Dobbiamo comunque sapere cari amici e compagni, che grande parte della prospettiva dell’alternativa sta sulle nostre spalle. Noi, prima di ogni altro, abbiamo un dovere verso il futuro del Paese. C’è tanta gente che ha bisogno di noi. C’è l’Italia che ha bisogno di noi.

PD: siamo un collettivo, non tiriamoci la palla in casa. Non possiamo più guardarci la punta delle scarpe. Abbiamo scelto di non essere un partito personale perché non crediamo ad una democrazia personale. Noi siamo un collettivo e ognuno di noi in ogni luogo deve caricarsi della sua responsabilità, sapere che maneggia una proprietà indivisa. Non accetterò che ci si tiri la palla in casa, se la palla è di là nel loro campo. In questo futuro prossimo, nel futuro che abbiamo qui davanti la gente avrà bisogno di percepire la solidità, l’unità e la forza di chi governerà il Paese. Noi siamo un bel Partito, di donne e uomini liberi che discutono e partecipano; abbiamo con noi tanta gente generosa e onesta che condivide gli ideali e che ha nella testa e nel cuore la voglia di una Italia migliore, più civile, più giusta. Noi siamo ben più forti delle nostre debolezze. Questo siamo noi. Non ci faremo leggere al di sotto di quel che siamo. E c’è un solo modo per esserne sicuri, per rafforzare l’unità, per sentirci una grande squadra: muoversi assieme, combattere assieme, rimboccarsi le maniche tutti assieme. Mentre lavoriamo per il progetto, noi ci muoveremo. Voglio per l’autunno una grande mobilitazione che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei tre milioni di cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie. Chiedo a tutti un aiuto per trasformare la rabbia, l’insofferenza e l’impazienza che sentiamo intorno a noi in energia positiva. Chiedo a tutti un aiuto per metterci a faccia a faccia con gli italiani bussando e ascoltando. Ho finito, cari amici e compagni. Dobbiamo suonare le nostre campane, tenere il passo di un lavoro non semplice, forse non breve ma appassionante e decisivo. Tutti assieme, compagni e amici, con intelligenza, con convinzione, con entusiasmo, con passione rimbocchiamoci le maniche e prepariamo giorni migliori per l’Italia.

venerdì 10 settembre 2010

“SERVONO RISORSE PER UN PIANO NAZIONALE DELL’EDILIZIA SCOLASTICA"

“La consegna del Liceo di Sangano dedicato alla memoria di Vito Scafidi è l’occasione per chiedere al Governo risorse vere e urgenti per un piano nazionale dell’Edilizia scolastica insieme alla deroga al patto di stabilità per consentirci di fare investimenti e pagare le imprese.” Così ha dichiarato il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta inaugurando oggi il nuovo liceo delle scienze umane di Sangano intitolato allo studente tragicamente scomparso nel crollo del soffitto al liceo Darwin di Rivoli nel 2008. “Abbiamo edifici scolastici antichi che richiedono manutenzione straordinaria continua e non possiamo investire. In cassa la Provincia di Torino ha 170 milioni di euro per appalti già eseguiti e non riusciamo a pagare chi ha lavorato, una vera assurdità. – ha proseguito Saitta – Questa è l’ultima scuola che si è realizzata sul nostro territorio, se il Govrno non sciogli i vincoli del patto di stabilità non potremo più costruirne altre e ci limiteremo alla manutenzione ordinaria.” Il nuovo istituto di Sangano è all’avanguardia, progettato dai funzionari provinciali secondo criteri legati alla sostenibilità ambientale, ottimizzando tutti gli aspetti indispensabili allo svolgimento delle attività didattiche (acustica, illuminazione naturale-artificiale, confort termico e risparmio energetico) e utilizzando materiali naturali, riciclabili ed ecocompatibili. Alla consegna delle chiavi alla dirigente scolastica Luisa Mattiuzzo erano presenti, insieme ai genitori di Vito Scafidi, l’assessore provinciale all’Istruzione Umberto D’Ottavio, l’assessore regionale all’Istruzione Alberto Cirio, il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale Francesco De Sanctis e il Sindaco di Sangano. “Questa – ha dichiarato l’assessore D’Ottavio - è la più bella scuola della provincia. Tutte le scuole dovrebbero essere così, progettate in funzione della sicurezza e del benessere degli studenti. Ma servono le risorse. La Provincia ha in carico 163 edifici, il 73% dei quali ricevuti dai Comuni; edifici vecchi per la cui manutenzione servono molte risorse. Noi continuiamo a lavorare per metterli in sicurezza con fondi il più possibile dell’amministrazione provinciale e, quando necessario, con il sostegno di altri enti. Ma occorrono più soldi e un Piano nazionale dell’edilizia scolastica. Il nostro obiettivo primario rimane la sicurezza come chiede la madre di Vito al quale è stata intitolata questa bella scuola".