domenica 26 febbraio 2012

Da Gelmini a Profumo, cosa è cambiato per la scuola pubblica?

MARINA BOSCAINO –
La rete pullula di appelli, petizioni, richieste, lettere aperte: prove Invalsi, pensioni, valutazione i tre temi al momento più gettonati. La scuola, dopo il sospiro di sollievo tirato per la conclusione dell’era della triade Gelmini-Tremonti-Brunetta, che ha segnato uno dei momenti di peggiore, oltre che maggiore, disinvestimento – culturale, oltre che economico – sul sistema scolastico nel nostro Paese, ha cominciato, prima fiduciosamente, poi con sempre maggiore cautela, ad esternare i propri desiderata al nuovo inquilino di viale Trastevere, certa almeno del ritorno ad un ascolto concreto, dopo l’autoreferenzialità assoluta di Gelmini e del suo staff.

A distanza di circa 3 mesi dall’insediamento di Profumo, si registra un certo scetticismo rispetto alla possibilità che il cambiamento sia davvero concreto. Certo, siamo indubbiamente al riparo dal profluvio di gaffes che Mary Star ha collezionato (inutile ricordare quella iperbolica del tunnel Gran Sasso-Ginevra). Ma – come la proverbiale sobrietà – anche questo dovrebbe far parte di quel minino sindacale garantito da qualsiasi governo. Ciò che manca, che continua a mancare, è un’attenzione esperta e sollecita ai problemi della scuola; oltre alla volontà concreta di porre la scuola stessa al centro di un’agenda politica che abbia a cuore il futuro del Paese.

I mantra cari alla scuola democratica, alla scuola della Costituzione, rappresentano litanie un po’ sbiadite e certamente inefficaci, che collaudano la memoria di alcuni di noi, la nostra capacità di ricordare principi e valori a dispetto dell’esistente, e di insistere perché vengano ricordati; ma certamente non registrano l’adesione e l’interesse autentici della maggior parte di coloro che si occupano di scuola pubblica: inclusione, cittadinanza, emancipazione, uguaglianza, merito sono etichette abusate e svuotate di significato, quando non riplasmate su significati di stampo neoliberista.

Fino ad oggi gli studenti sono rimasti un po’ defilati rispetto alle richieste avanzate al ministro, forse immobilizzati da un panorama che certamente non incoraggia alla partecipazione: immaginate di avere dai 15 ai 19 anni, oggi. Il vostro presente è il nostro; l’unico passato è l’ultimo triennio Berlusconi, il solo che siete in grado realmente di ricordare. Le generazioni di riferimento – i vostri padri, i vostri insegnanti – annaspano nella notte della politica. Che percezione avreste del mondo, della cittadinanza, del futuro, del senso?

È di questi giorni la notizia che la Rete degli Studenti ha avviato la campagna “Mai più nelle nostre scuole”, raccolta di firme e ricorsi per la cancellazione di alcuni provvedimenti assunti dal precedente governo, cui almeno occorre riconoscere la capacità di essere riusciti a partorire ed imporre una serie di odiosissimi provvedimenti alla scuola italiana in tempi rapidissimi: le cosiddette “riforme” – eufemismo altisonante per non dire “tagli” – che hanno investito tutti i segmenti della scuola. Ma anche ambiti specifici, come i quattro sui quali gli studenti chiedono una marcia indietro a Profumo:



“Mai più nelle nostre scuole” alla bocciatura per il limite di assenze. Secondo il Dpr 122/09 sulla valutazione solo i ¾ della presenza rispetto al monte ore annuale garantiscono la promozione.

“Mai più nelle nostre scuole” al voto di condotta. Con il 5 in condotta si perde l’anno scolastico.

“Mai più nelle nostre scuole” alla sufficienza in ogni materia per accedere all’Esame di Stato. Da qualche anno si può partecipare alla maturità solo se si hanno tutte almeno sufficienze in ciascuna materia.

“Mai più nelle nostre scuole” al tetto del 30% di studenti migranti per classe: iniziò con Cota, e la balzana idea delle classi-ponte; ghetti, in realtà, dove – secondo le intenzioni del proponente – andavano relegati i diversi, indipendentemente dalla provenienza, per poter peggio provvedere alla loro integrazione in quella scuola che la Costituzione definisce “aperta a tutti”. Oggi la normativa (Cm 2/2010) prevede un massimo del 30% di studenti migranti in ogni classe, con un numero motivato di deroghe.

A prescindere dalla opportunità delle richieste – alcune, in particolare, sono estremamente sensate – sarebbe un bel segnale che qualcuno battesse un colpo. Il miracolo di una generazione che oggi abbia ancora voglia di esserci e di partecipare, di provare ad avere una lettura critica della realtà, di dire no a qualcosa senza rifugiarsi nell’acquiescenza acefala non può e non deve lasciare indifferenti.

Marina Boscaino

(24 febbraio 2012)